Chi scientemente, distrattamente, occasionalmente o sistematicamente tenta di trovare una definizione per i foodies merita tutta la nostra comprensione. Anche se lo fa, come nel caso della giornalista Angela Frenda, per promuovere un evento organizzato dal suo giornale, il Corriere della Sera, che autodefinisce Cibo a regola d’arte “un percorso di incontri, laboratori e degustazioni con la direzione artistica di Davide Oldani e Carlo Cracco” in cartellone dal 14 al 17 marzo alla Triennale di Milano, e dal 21 al 24 marzo al Museo della Scienza e della Tecnologia.
Affinché la sottrazione di denaro ai tradizionali organizzatori di eventi gastronomici non avvenga senza testimoni, senza resoconti, senza tracce di alcun genere, il Corriere sta suonando la grancassa da giorni e domani uscirà con un numero monografico di Sette titolato “Non ci resta che mangiare” con profili della chef Cristina Bowerman e per fare una cosa diversa, del fondatore di Eataly Oscar Farinetti.
Ma torniamo alla definizione di foodies (ahem, il link sulla pagina del Corriere è rotto) perché se uno profila, che almeno lo faccia bene. Intanto, sarà nutrimento per la nostra autostima sapere che in Italia siamo 5 milioni e mezzo, e aumentiamo al ritmo di circa 250 mila all’anno. E che stiamo “riformando il movimento del cibo”. E che grazie ai foodies “sta cambiando il nostro modo di alimentarci”. Siccome di solito siamo troppo autoriferiti e obnubilati per renderci conto di quando qualcuno ci liscia per qualche scopo (tipo partecipare al suo bell’evento) non ce ne accorgeremo neanche stavolta. Okay, okay, vengo al profilo, dicesi foodie con o senza s finale:
— Uno che cerca i prodotti migliori dagli artigiani del gusto. ✓ (Quali avete cercato di recente?)
— Che se compra al supermercato si concentra su freschezza e genuinità. (Niente spunta, prezzo rulez).
— Che orgnanizza cene con gli amici per assaggiare l’ultima novità. ✓ (Quali novità avete scoperto?)
— Ma mangia anche fuori per provare un ristorante, fidandosi più della Rete che delle guide ✓ (Se fossi uno di questi commentatori nerd di Dissapore scriverei “quotone”)
— Che viaggia per partecipare ad eventi gastronomici ✓ (Taste Firenze è stato l’ultimo).
— Che ama l’aperitivo all’italiana. (Spiace, ma ogni parola che inizia con aperi, aperitivo, apericena, mi provoca bruciori di stomaco di portata planetaria.
— Che legge riviste di settore. (Ma dici quelle di carta? Ogni volta che apro una rivista, di carta e di settore, le lavatrici scompaiono e le donne tornano a lavare i panni nei corsi d’acqua. Poi corrono ad accendere il computer).
— Che dispensa consigli (a volte troppi) su piatti e locali. ✓ (Ultimi consigli dati?)
— Insomma è la versione democratica e 2.0 del buongustatio di tognazziana memoria. (Possiamo consegnare l’espressione 2.0 alla dannazione eterna, cortesemente?)
Vi siete riconosciuti nelle vostre fissazioni patologiche No? Vogliamo provare a profilarci meglio, che forse non era proprio questo che intendeva il critico inglese Paul Levy quando nel 1984 ha scritto “The official foodie handbook” usando per la prima volta la parola magica?
P.S. Come sintomo di dilagante successo foodie, Angela Frenda cita la Foodie Geek dinner, “posti chiusi per 80 selezionate persone, evento sold out”. Ignorando l’esistenza delle “Fdg” (© Frenda), qualcuno potrebbe spiegarmi di cosa si tratta?
[Crediti | Link: Corriere]