Mancano appena 2 mesi a Capodanno: è il momento di mettere a punto la preparazione del cotechino, delle lenticchie, dei contorni e degli accompagnamenti. Chiamiamola: cucina preventiva.
Prima di cominciare con le ricette (alquanto semplici, vedrete), vorrei soffermarmi sulla natura di questo insaccato che, con infinite varianti locali, si produce in Emilia Romagna come in Veneto, in Lombardia come in Friuli.
Sono cotechini, fra gli altri, l’Igp di Modena, il musetto friulano, il vaniglia di Cremona (no, non c’è la vaniglia, è chiamato così perché particolarmente dolce), il cappello del prete (quello a forma di triangolo) e tanti altri. Tutti accomunati da un impasto, macinato più o meno finemente, di carni magre di maiale, cotenne tenere e parti grasse della gola, della pancia, della guancia.
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Ogni ricetta è poi arricchita da aromi e spezie, dal pepe alla cannella, dalla noce moscata al macis, che della noce moscata è l’involucro. Lo stesso impasto insaccato, invece che in un budello, nella pelle dello zampetto del maiale, con unghioli e tutto, diventa zampone.
Entrambi sono magnifici esemplari della categoria dei salumi da cuocere, immancabili comprimari sul carrello dei bolliti e splendidi protagonisti di portate ricche dove si accostano a legumi, purè, verdure a foglia verde, mostarde e salse.
1. Cotechino.
Occorre specificare che il cotechino precotto non ci riguarda? Qui si parla solo di cotechini freschi. Li potete acquistare dal macellaio di fiducia, ma anche al supermercato se ne trovano buone marche (peccato solo che in genere spariscano a febbraio, per ricomparire a novembre).
Rispetto al “coso” precotto in busta sigillata, hanno infiniti vantaggi e un solo handicap: intorno alle due ore di cottura contro i 20-30 minuti scarsi di quelli precotti. I due risultati finali non sono neanche lontanamente paragonabili. Il fresco rimane sodo, asciutto, saporito e aromatico, il precotto nove volte su dieci si estrae dalla busta sfatto e al palato è spesso troppo salato ed eccessivamente grasso.
Di accortezze nel cuocere il cotechino ne servono poche. Bucherellate il budello con uno stecchino di legno: questo servirà a non farlo spaccare e anche a far perdere un po’ di unto nell’acqua di cottura. Non usate una forchetta: i fori troppo ravvicinati si allargherebbero in uno strappo e la mescola di carni uscirebbe dall’involucro.
Mettete il cotechino in una casseruola colma di acqua inizialmente fredda. A me piace aggiungere qualche foglia di sedano il cui aroma, mi sembra, bilancia un po’ la sensazione di unto, ma è un “di più” che potete ignorare.
Quel che conta, invece, è la fiamma: regolatela al minimo del minimo, usate la retina e fate in modo che il liquido sobbolla in modo appena accennato. Se appena il bollore minaccia di diventare vivace, abbassatelo aggiungendo un poco di acqua fredda.
Come si diceva, i tempi per un cotechino fresco sfiorano o superano di poco le due ore, calcolate dall’inizio dell’ebollizione. La discriminante è la dimensione dell’insaccato. Per verificare che sia pronto, pungetelo con lo stecchino di prima, che deve entrare facilmente. Se non lo servite subito, potete lasciare il cotechino in attesa nel suo brodo, a fuoco spento e casseruola coperta.
2. Soffritto per le lenticchie.
Messo su il cotechino, c’è tutto il tempo per occuparvi del resto. Per esempio, se volete, per lessare le patate per il purè. Oppure, ed è stata questa la mia scelta, per preparare le lenticchie, a patto che siano del tipo piccino, che non ha bisogno di ammollo (altrimenti, pensateci per tempo).
Cominciate con il soffritto. Sfilate una costola di sedano (io preferisco il verde, più intenso), raschiate una piccola carota, sbucciate lo scalogno e fatene un trito grossolano, da crogiolare in un tegame aggiungendo, se vi piace, una foglia di alloro o qualche ciuffo di salvia o rosmarino. Fatelo appassire a fuoco moderato con un filo d’olio (poco, il cotechino sarà già abbastanza ricco) finché le verdure sono ammorbidite, evitando che prendano colore.
3. Lenticchie in pentola.
Pesate le lenticchie calcolando circa 50 grammi a persona per una porzione educata, 80-100 grammi per una più sostanziosa, di cui fare magari anche un bis. Io per due persone ne ho usate 150 grammi.
Versatele in una bacinella e smuovetele per individuare ed eliminare sassolini o altre impurità. Poi, trasferitele in un colino e sciacquatele (sono un po’ polverose).
Insaporitele nel soffritto pochi istanti: non devono tostare, altrimenti le bucce si induriscono. Quindi, bagnate con acqua fredda, tre volte abbondanti il peso delle lenticchie (per la mia dose, circa mezzo litro), portate a bollore e calcolate circa 25-30 minuti di cottura sul fuoco, anche in questo caso, molto basso. Tenete sul fornello un pentolino di acqua bollente, da aggiungere se le lenticchie si asciugano. Salate solo alla fine.
Nel frattempo, se vi va, potete anche scottare qualche manciata di erbette o spinaci, semplicemente lavati e messi in pentola senza sgrondarli: con il coperchio, si ammorbidiranno in pochi minuti e, con olio e sale, saranno un contorno leggero che stempererà un po’ la ricchezza del tutto.
4. La salsa di rafano.
La nota pungente del rafano, o cren, è il bilanciamento perfetto per il cotechino così come per i tagli più grassi del bollito. Se riuscite a trovare la radice fresca (tra l’altro, in frigo dura per un sacco di tempo), pelatela come fosse una carota e grattugiatene un paio di cucchiaini. Mescolateli con lo stesso volume di panna fresca semimontata o panna acida e un pizzichino di sale e il gioco è fatto.
Se non riuscite a procurarvi la radice di rafano, esistono ottime salse pronte come quelle bavaresi (Meerrettich in tedesco), tradizionalmente abbinate ai würstel, o inglesi (horseradish), che potete scovare nelle gastronomie e nei supermercati più forniti.
5. Nel piatto.
A fine cottura, non vi resta che sgocciolare bene il cotechino sollevandolo dalla pentola con una grossa pinza (fate attenzione che è scivoloso): meglio non infilzarlo con un forchettone, perché potrebbe rompersi. Trasferitelo su un tagliere e affettatelo in belle fette spesse.
Servitele nei piatti con le lenticchie, le erbette, un ricciolo di salsa al cren e, se vi piacciono (a me sì!), due o tre ciliegie di mostarda. Tenete in caldo quel che resta del salume, se resta, ben coperto con un doppio foglio di alluminio: dopo il taglio, meglio non lasciarlo immerso nel liquido di cottura.
Ecco, così è come si mangia a casa mia, da adesso fino a quando passerà l’inverno. Che ne dite di raccontarmi varietà, tecniche, contorni della vostra tradizione?
[Fotocrediti: Cibotondo]