Le polpette sono un must della cucina di casa, un’ancora di salvezza quando in frigo hai solo un po’ di macinato, un avanzo di grana, un uovo e poco più. Facili da fare, perfette se ci sono bambini, apprezzate dai grandi, buone appena cucinate e deliziose fredde il giorno dopo.
Fuori casa le cose cambiano e le nostre vengono guardate con sospetto in mensa e in trattoria, esclamando “chissà cosa ci hanno messo dentro!”, mentre raramente compaiono in carta nei ristoranti blasonati anche se c’è chi, come Diego Abatantuono, ne ha fatto il leit motiv del suo locale milanese, The Meatball Family, che proprio in questi giorni festeggia un anno di attività.
Tornando alle versioni casalinghe, ogni famiglia ha la sua ricetta. Mamma me le faceva al sugo, mentre nonna le friggeva. Io, bambina, ero contenta in entrambi i casi.
Stabilire qual è la polpetta perfetta o, semplicemente, la preferita è quasi è impossibile. Non solo perché non ne esiste una ricetta codificata (anzi, una sì, vedi punto 1), ma perché l’impasto è spesso fatto a occhio, o con quello che c’è, e la stessa persona può non farle uguali due volte di fila, tante sono le discriminanti. Eccovele.
1. Carne cruda o cotta?
Questa è la divisione fondamentale. Se si dà ragione a chi ritiene le polpette puramente un piatto di recupero (così, per esempio, l’Artusi), si sceglierà carne avanzata. Che sia lesso o arrosto, tritato o macinato, impastato con pane e uovo o con patate lesse, il risultato è a mio parere spesso un po’ troppo asciutto, un bolo che si inghiotte a fatica. E so di cosa parlo visto che Milano, la mia città, fa eccezione rispetto al resto d’Italia e i mondeghili, ovvero le polpette di manzo cotto impanate e fritte, compaiono come amouse bouche, antipasto o secondo in ristoranti di ogni categoria.
Sarà perché, qualche anno fa, hanno ottenuto la DeCo (Denominazione Comunale) insieme a cotoletta, risotto, ossobuco, rostin negaa, minestrone, cassoeula, panettone, michetta e barbajada. O, più semplicemente, per il forte pragmatismo del cuoco milanese che non rinuncia alla possibilità di riciclare in modo intelligente e furbo, mettendo come specialità del giorno l’avanzo di ieri, e facendo anche bella figura.
Io, se non sono in stato di necessità (per esempio, con un pezzo di bollito da far fuori), preferisco di gran lunga partire dalla carne fresca che secondo me regala polpette più morbide e succulente.
Macinato di manzo, manzo e maiale, manzo e salsiccia, vitello e salsiccia: non metto limiti alla fantasia. Mescolo la carne con un uovo ogni 3-400 grammi, una fetta di pane bagnata nel latte, pangrattato, a volte grana, noce moscata, sale, pepe e prezzemolo. Ma so che a una base del genere si possono aggiungere mille sapori: paprica o peperoncino, cipolla o aglio, erbe e verdure tritate, come spinaci o bietoline, e chi più ne ha più ne metta.
2. Le dimensioni contano?
A me piace fare polpette belle cicciotte, grandezza albicocca, da circa 30-35 grammi di peso l’una. Farle piccole piccole, tipo noce, lo trovo infinitamente noioso, anche se devo riconoscere che sono più divertenti da mangiare.
Al di là dell’aspetto estetico, la dimensione della polpetta influisce sulla tecnica di cottura (vedi punto 3) e va scelta in base alla ricetta. Ricordando che, nelle polpettine mignon, anche un impasto “gnucco” (come, appunto, quello dei mondeghili) risulta più facile da mandar giù.
3. Fritte, rosolate o in umido?
Tante le scuole di pensiero sulla cottura. Cominciando dalla frittura, che può essere “deep”, ovvero in olio abbondante, adatta per polpettine piccole, o una rosolatura in un filo di condimento, che ammette anche dimensioni maggiori.
Perché l’esterno risulti, in tutti i casi, dorato e croccante, un giro nel pangrattato o nella farina asciugherà l’esterno e farà crosticina.
A questo punto, i casi sono due: potete portare a cottura le polpette solo friggendole, oppure rosolarle e finirle in un sugo. Io adotto questa seconda tecnica sfumando le polpette, una volta ben dorate, con vino bianco e allungando il fondo con acqua o brodo e a volte con poco pomodoro, polpa o concentrato.
Aggiunto il liquido, terminate la cotture a fuoco dolce e a tegame coperto. Se avrete abbondato con il sugo, quel che resterà dopo aver mangiato le polpette sarà delizioso, domani, per condire la pasta.
Ultima alternativa, sperimentata quando mi è capitato di dover preparare polpettine per una ventina di persone, è la cottura in forno. Se volete provare, poiché il forno tende ad asciugare molto badate di fare un impasto umido e morbido.
Sarete facilitati dal fatto di non dover girare le polpette in cottura, rischiando di romperle se troppo “lente”. Io le cuocio a 200°, disposte in uno strato, ben distanziate, su una placca con carta da forno. Il tempo varia a seconda delle dimensioni, ma in genere si aggira intorno ai 20-30 minuti.
4. Polpette dal mondo
Tutto il mondo è paese anche quando si parla di polpette, che si fanno ovunque, con ogni tipo di carne.
Ci sono le “famigerate” köttbullar svedesi, che (confessate!) anche voi avrete sicuramente comprato, almeno una volta, nei noti store di arredamento e si servono, come spesso nel nord Europa, accompagnate da una salsa di mirtilli rossi.
Le keftedes greche sono deliziose anche infilate in un panino tipo pita, mentre in tutto il Medioriente ci si nutre di falafel, che in fondo altro non sono che polpette di legumi.
E poi, fate pure gli snob, ma un piatto di spaghetti & metballs ben cucinato, le polpettine piccole come ciliegie, il sugo denso, rosso e corposo, a me ingolosisce sin dalla prima volta che l’ho visto, romanticamente diviso fra Lilly e il vagabondo.
E insomma, voi di che polpette siete? Quali trucchi e accorgimenti adottate? E qual è il vostro ingrediente segreto per consistenze perfette e sapore impeccabile?