Nel mio piccolo, quando mi dicono che ho preparato un risotto insipido, si scatena in me un sentimento misto di astio, voglia di rivalsa e difesa della posizione. A prescindere, ovviamente, dalla qualità reale del mio risotto che potrebbe anche non essere perfetto (ho detto potrebbe), ma comunque è fatto con le mie manine, quindi è lecito difenderlo ad ogni costo.
Fate uno sforzo ulteriore e cercate di mettervi nei poveri panni di un ristoratore medio, oggi più che mai bersagliato da eventuali concorrenti furbetti su TripAdvisor, pugnalato alle spalle da clienti che non hanno avuto il coraggio di fare un’osservazione faccia a faccia, da guide che ti ignorano e da sedicenti esperti che recensiscono i piatti sul web come si trattasse di noccioline.
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Cosa deve fare un ristoratore in un mondo brutto e cattivo come il nostro? Mantenere sempre la calma buddista o far schizzare il tono oltre i canoni dei benpensanti?
Il tentativo maldestro di auto-giustificazione sul web è snervante, tutti restano sempre fermi sulle proprie posizioni, arroccati in scuse simil-plausibili e in interpretazioni soggettive di una realtà che non conosceremo mai davvero. Immaginate se alla umana frustrazione descritta usando come termine di paragone il mio risotto si aggiungesse anche quella lavorativa.
Sì, perché il cliente malandrino si diverte a punzecchiare in forma anonima, sghignazza al di là del suo smartphone beandosi di quanto sia stato cattivello, ma il ristorante ci deve campare e non sono proprio i tempi propizi per avere eccesso di buonumore e autoironia.
Se sommiamo il fattore innervosimento da difesa del proprio orticello, con l’incazzatura da potenziale perdita di fatturato, allora le cose iniziano a complicarsi.
Eccoci arrivati al punto di non ritorno, alla cecità incondizionata del ristoratore che eleva il piccolo “innocuo” recensore della domenica a male supremo del mondo della ristorazione.
La nota goccia ha fatto traboccare il noto vaso: la posizione da arrampicatore di vetri del ristoratore medio, altresì nominabile “pecorella remissiva” che risponde alle accuse web con un “Scusate per la lunga attesa, avevo del personale in ferie”, ove fomentata all’eccesso sfocia nella nascita di un altro profilo umano più livoroso e verbalmente aggressivo:
il ristoratore Compare Turiddu, ferito nell’onore e disposto all’atto supremo.
E per “atto supremo” non intendiamo la verghiana vendetta d’onore, ma i messaggi minatori lanciati dal ristorante ai suoi clienti.
Gli esempi dell’inasprimento dei toni arrivano da vicino (è il caso di questi giorni del ristorante di Bevagna), che non sarà un Nobel della letteratura, ma credo si faccia ampiamente intendere.
Non va meglio nemmeno oltreoceano, dove il rancore dell’oste tocca punte di lirismo inconsuete a San Francisco. Ad una più attenta analisi del testo verrebbe da pensare che tra le righe sia espresso un odio atavico e incondizionato per i clienti, ovviamente “di rimessa” portato all’accesso dopo recensioni non sul cibo ma sulla persona del ristoratore (definito “un pazzo”, “maleducato” e “ignorante”).
Il risultato è quello di un’impennata di recensioni (la maggioranza positive) in difesa del ristorante e del proprietario.
Insomma, la questione sembra avere assunto i toni di una schermaglia da pollaio, dove c’è chi fa ironia
chi racconta aneddoti da censura verbale
chi difende a spada tratta
e poi c’è il povero Pedro che ci mette il carico da 90.
Siamo davvero certi di voler andare in questa direzione?
Esistono recensori web che sono infiltrati sobillatori della violenza sulla Rete?
Qual è il limite tra personale e lavorativo?
Non so, domande su cui devo riflettere. Intanto prometto di non prendermela più con quelli a cui non piace il mio risotto. Al massimo li metterò in guardia con un messaggio sulla porta d’ingresso “astenersi recensori”.