Prima di passare al pranzo di Natale, come è andata con il tax day? Vi state ancora leccando le ferite? Guardate sconsolati il portafogli vuoto e i faccini tristi dei vostri bimbi ai quali avete dovuto dire che no, quest’anno, niente festa? Oppure, confermate l’aforisma di Giuseppe Saragat secondo cui gli italiani guadagnano netto ma vivono lordo e, anche questa volta, non baderete a spese per il vostro pranzo di Natale?
Io sono qui per fare la voce della vostra coscienza ed esortarvi non a stringere la cinghia, ma solo a evitare sprechi inutili e scontrini della spesa sovradimensionati.
Il segreto, naturalmente, è comprare di meno e produrre di più. Che poi, anche il gusto ci guadagna.
Gli spunti ve li ho già dati nei post del pranzo di Natale perfetto: antipasti, primi, secondi, contorni e accompagnamenti fatti in casa non sono solo buoni, ma anche assolutamente competitivi rispetto agli stessi piatti acquistati pronti.
Non ci credete? Io ho fatto due conti, mettendo a confronto il costo delle mie ricette con i corrispondenti prodotti non di gastronomia, ma del supermercato (Esselunga online), quindi già in una fascia di prezzo accettabile. Per prodotti esistenti in più versioni, con differenti prezzi, ho fatto una media (senza considerare sconti e promozioni).
Tralascio un attimo gli antipasti e mi concentro sul primo, sul secondo e sul dolce.
CAPPELLETTI
Con ripieno di crudo e mortadella, al super hanno un prezzo medio di 12,50 euro al chilo. Quelli fatti in casa superano di poco i 9 euro, sempre al chilo, quindi un buon 25 per cento in meno. E lo sapete, sì, che sono infinitamente più buoni anche se, forse, un po’ meno regolari come forma.
Il brodo più economico ma, a mio parere, più buono, è quello di gallina, che costa circa 2,30 euro al chilo (la gallina), più sedano-carota-cipolla, chiodi di garofano, alloro: arriviamo a 3 euro? Ecco, il vostro primo, abbondante (con le mie dosi, vengono più di 700 g di cappelletti, che in brodo sono una buona quantità), per 6 persone, vi costa un paio di euro a porzione.
La prossima volta che vi vedo allungare una mano verso una vaschetta di tortellini pronti, vi bacchetto.
ARROSTO
Il ripieno della faraona della mia ricetta, tartufo a parte, ha un costo piuttosto contenuto: circa 6,50 euro per 800 g di impasto.
Certo, il prezzo dell’arrosto aumenta quando andate a scegliere l’involucro, nel mio caso la faraona semidisossata (circa un chilo): dal mio macellaio costa intorno ai 20 euro al chilo, al super 12,70 e, date le dimensioni, non basta davvero per più di 6 persone, quindi se la famiglia è numerosa ve ne occorrono almeno un paio, con dose doppia di ripieno. Il tutto per circa 38 euro. Mumble mumble, come risolvere?
Per esempio, farcendo con il ripieno una fetta di fesa di tacchino: due dosi di ripieno, mezzo petto di tacchino (circa un chilo, 8,24 euro, e calcolate che è tutta ciccia, niente ossi, pelle e scarti vari) aperto a libro, battuto e allargato, il tutto per un totale di 21 euro e spicci: un risparmio di circa il 44 per cento.
Poi, se volete consolarvi per aver eliminato il tartufo, potete sempre arricchire il ripieno con prugne e/o albicocche secche, che in questi giorni sicuramente girano per casa e vengono via a costo zero. E in fondo il tacchino fa sempre Natale, o no?
DOLCI
L’eccezione che conferma la regola. Ovvero: se volete la ricetta del panettone fatto in casa sapete dove trovarla. Ma mi rendo conto che non è alla portata di tutti i cucinieri e la delusione di un dolce non sufficientemente lievitato potrebbe rovinare la festa a tutti.
È possibile, allora, trovare un compromesso? Rinunciare al panettone di pasticceria a 32 euro al chilo (ovvero, al pezzo) come quello di Iginio Massari senza doversi scusare con la famiglia perché state portando in tavola un prodotto industriale, acquistato al super, dozzinale?
Secondo il mio modesto parere sì. Un rapido sondaggio fra gli editor di Dissapore suggerisce, ancora una volta, il panettone Tre Marie, un chilo a 9,90 euro. La percentuale di risparmio fatela voi. Io giuro qui e ora che non me ne è mai arrivato in regalo dall’azienda neppure uno.
ANTIPASTI
Li ho tenuti per ultimi perché, alla fine di questo post, ho una piccola chicca per voi. Potete immaginare che pâté, mousse e insalata russa fatti in casa costino infinitamente meno che in gastronomia: con le mie ricette, siamo a circa 9 euro al chilo per la specialità di fegato e fegatini e 17 euro al chilo per la spuma di prosciutto, in effetti un po’ cara ma ben bilanciata dai 2 euro, sempre al chilo, dell’insalata russa casalinga.
Per inciso, le mie ricette costano meno, perché con le mie dosi preparate circa 750 g di pâté, 600 g di insalata russa, 550 g di spuma di prosciutto.
La voce più dispendiosa, almeno per me, resta il salmone affumicato. Non so voi, ma io in questi giorni per le baffe intere sto vedendo prezzi mai inferiori a 38-40 euro al chilo. E stiamo sempre parlando di supermercato.
E se ve lo faceste da voi? Naturalmente, sono qui a darvi la ricetta: quella del mio salmone non affumicato, ma marinato a secco. In doppia copia.
RICETTA DEL SALMONE MARINATO A SECCO
Per prima cosa vi occorre un bel filetto intero di salmone, per 6-8 persone (con appetito) diciamo 700 g: a 15,90 euro al chilo, sono circa 11 euro. Poi vi servono un paio di chili di sale grosso, diciamo un altro euro (crepi l’avarizia). Totale, 12 euro. Tipo il 70 per cento in meno.
Felici della vostra percentuale di risparmio, preparate il salmone eliminando la pelle e sfilando con estrema attenzione tutte le lische.
Ora, potete agire in due modi.
Tecnica 1: disponete in una pirofila, su un largo pezzo di pellicola, uno strato di sale grosso mescolato a zucchero (proporzione 2:1). Sopra, potete mettere erbette e aromi a piacere: barbine di finocchio, finocchietto o aneto, foglie di alloro spezzettate, una grattugiata di scorza di limone o di arancia o quel che più vi aggrada.
Tecnica 2: disponete nella pirofila pellicola e sale grosso, senza aromi.
Tecnica 1: disponete il salmone sul sale, cospargete qualche altra erbetta e coprite con altro sale e zucchero, poi impacchettate il tutto nella pellicola.
Tecnica 2: posate sul sale un foglio di carta da forno, mettete qualche erbetta e un filino d’olio, disponete il salmone, qualche altra erbetta, pochissimo olio e impacchettate il pesce nella carta da forno; infine, ricoprite con il sale rimasto e richiudete con la pellicola.
Tecnica 1: fate riposare in frigo al massimo per 24 ore. Scartate e ripulite bene il salmone dal sale, usando carta da cucina e, se lo avete, un pennello di silicone. Poi affettate.
Tecnica 2: fate riposare in frigo 96 ore. Scartate e affettate.
In entrambi i casi, servite il salmone con i blinis della mia ricetta, caldi e imburrati, o con crostini di pancarré. Se nella marinata avete usato scorza di limone, non occorre il succo. Basta una macinata di pepe nero.
Se vi state domandando cosa sia accaduto nel frattempo, sale e zucchero avranno richiamato acqua e l’esterno del salmone risulterà, in entrambi i lati, asciutto e consistente. Il cuore sarà rimasto morbido. Con la prima tecnica, avrete un gusto aromatico, sapido, leggermente dolce, con la seconda sentirete solo gli aromi.
Sì, lo so cosa state per dirmi: e l’anisakis? No, alla nostra tavola di Natale non lo vogliamo. Vi tranquillizzo dicendovi che ho chiesto a una super esperta in materia, la dottoressa Valentina Tepedino di Eurofishmarket, autorevole testata specializzata, come comportarmi. Ovvero, se abbattere il salmone, e se farlo prima o dopo la marinatura a secco.
Ecco cosa mi ha risposto: «Premetto che il salmone di allevamento è meno a rischio per l’anisakis, ma per essere sicuri che sia esente al 100% bisognerebbe avere una certificazione dall’azienda produttrice, garanzia che a oggi non è arrivata sul mercato italiano e, soprattutto, raramente arriva al consumatore.
Il consiglio da dare a chi vuole marinare in casa potrebbe essere corretto in entrambe le modalità, ossia congelare prima della marinatura o dopo. L’importante è che il prodotto sia mantenuto almeno 96 ore a -18° in un freezer con almeno 3 stelle.
Per esperienza, il salmone congelato e poi marinato, dopo decongelamento (a temperatura di refrigerazione 0-4°), risulta migliore dal punto di vista sensoriale».
Sicché, ringrazio Tepedino e chiedo: vi ho convinti che un Natale low cost ma big taste è possibile?
[Fotocrediti: Cibotondo, Tracce di cibo, Rossella Neiadin, Tutto molto bello]