I pazzi per la spesa alimentare come me vanno maledetti. Un mal di piedi terribile, un bagno di folla di assaggiatori seriali, un chilo in più sulla bilancia, ma soprattutto una dispensa strabordante. Questi sono solo alcuni degli effetti collaterali della partecipazione al Salone del Gusto 2014 che sì, viene una volta ogni due anni e la credenza stipata del mio bilocale ringrazia. É che non riesco a resistere all’impulso da souvenir gastronomici, da gastroshopping compulsivo torinese, ci casco ogni volta, manco non esistesse l’e-commerce.
Comunque, reduce dall’abbuffata di presidi, anche la mia cucina ora somiglia a un’arca del gusto e l’ultimo pacco di pasta in fondo alla dispensa rivedrà la luce solo tra qualche mese. A Torino vale la stessa legge del rifornimento incondizionato, come se si stesse avvicinando la guerra nucleare e non avessi più modo di fare la spesa. Mai più.
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C’é chi diventa folle davanti a una vetrina di scarpe tacco 12. Io sono irrimediabilmente attratta dalla trafilatura al bronzo, e davanti ad un pacco di pasta perdo il senno, getto la spugna e divento compulsiva.
Con gli ingredienti che possono trasformarsi in sugo, poi, capitolo come succede alle irriducibili degli accessori. Compro, compro, compro. Riempio borse di vasetti di pomodori gialli, mi impaccio tutto il giorno con una cassetta di pomodori del Piennolo. Miei, miei, tutti miei.
Una volta tornata a casa con la mia spesa, si procede al cambio di stagione. Non svuoto e sostituisco i vestiti nell’armadio, ma incastro e creo scaffalature nel frigo e negli armadietti della cucina. Posseggo anche una sorta di vetrinetta, dove meticolosamente ripongo i miei acquisti preferiti. Una sorta di collezione voyeuristica di trofei gastronomici che tutte le volte che entro in cucina mi riempie di orgoglio. Non l’ho mai confessato in pubblico, ma ora é tempo di coming out.
Perché qui su Dissapore mi sento a casa e so che non mi giudicherete male.
Ditemi che ce l’avete anche voi un angolino di cucina che venerate con amore e che vorreste non scadesse mai.
Guardo la mia colatura di alici di Cetara e mi si riempie il petto d’orgoglio, vedo il paté di carciofi di Menfi e mi sento in pace con mondo, poi passo alla preghiera al mio pepe di Sichuan. Oddio, tutti parlano di food porn: sarò mica feticista?
La soddisfazione del gastroshopping, ne sono consapevole, é effimera. Dura poco, poco un pacco di calamarata da mezzo chilo. La tristezza incombe per ogni angolo di dispensa che si svuota giorno dopo giorno, anche se i cibi a lunga scadenza hanno effetto doping, come gli antidolorifici a rilascio prolungato.
In frigo, intanto, i miei acquisti più deperibili mi chiamano. Avete presente quella parte del genere umano che compra un vestito nuovo e non lo mette per non sgualcirlo? Ecco, io appartengo all’altra metà del mondo. Quella torta di cioccolato, ma di cioccolato per davvero, che mi guarda dal frigo non durerà a lungo e non c’é il rischio che io possa sfiorare la scadenza.
Lo confesso: colleziono scatole di cibo in scatola dal mondo, non magneti del frigo. Appendo confezioni di senape alle pareti, e ho un altarino di salse piccanti americane. Forse ho un problema.
Ciao, mi chiamo Carlotta e ho un problema. “Ciao Carlotta”. Ditemi almeno che non sono sola. Vi prego.
[Crediti foto: Nicola Oldrini]