Altroché parla come mangi. Una volta un sommelier durante una cena mi ha dato un colpetto al gomito e mi ha detto testuali parole: “Sì, sì, buono questo siciliano, al naso mi sa che viene dalle vigne di Termini Imerese”, corredato da strizzatina d’occhio.
Ora, io ero giovane e inesperta (e sono rimasta nel tempo sia giovane che inesperta, ovviamente), ma non ho capito subito cosa volesse dire e ho risposto con un sorriso di circostanza di quelli che vanno bene in tutte le occasioni (e che, alla luce dei fatti, mi avrà fatta apparire come quella che non capisce le battute).
Qualche anno dopo sono sbarcata con la nave a Termini Imerese e non è che propriamente ci fosse un gran bel profumo. In quel momento mi sono ricordata le parole del sommelier e ho contestualizzato la strizzata d’occhio.
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Da allora, durante cene, incontri, lavori dei più vari mi è capitato di poter registrare una sorta di classifica dei peggiori termini riferiti al vino o al cibo, che non sono parole che usano i comuni mortali, ma quelle dei professionisti che, con una conclamata puzza sotto il naso, lanciano le bombe.
Non si tratta quindi di una classifica delle varie declinazioni del classico e fuori moda “che schifo”, ma di virtuosismi tecnico-verbali tipici di una schiera di assaggiatori improvvisati, degustatori e veri specialisti che ci svelano l’arcano.
“Questo formaggio sa di sella di cavallo bagnata”.
Ecco, mentre tenevo in bocca il formaggio in questione e il mio dirimpettaio se ne usciva con questa chicca, devo ammettere che l’istinto non è stato quello della risatina di circostanza, ma quello di risputare tutto nel piatto. Intorno a me, intanto, gente che ripeteva come in trance “si sente decisamente l’animale”.
“Al naso si sente la vernice e lo smalto per le unghie”.
Di un color rubino con riflessi nail laquer Chanel n°5 quel vino, nonostante qualche difettuccio, verrà apprezzato dagli amanti della benzina: quelli che quando sono al distributore vanno in estasi (mi metto anche io nella categoria, ovviamente).
“Il vino ha un sentore di cane bagnato”.
Ora, chi ha un cane sa benissimo di cosa stiamo parlando e del grado di nausea che si può raggiungere con un olezzo simile. Figuratevelo mettendo il vostro nasino in un bicchiere di vino. Roba da far passare decisamente la voglia.
“Quest’olio sa di legno, legno umido”.
Degustare un olio è già un lavoro piuttosto complicato, soprattutto se visitate un frantoio appena dopo l’ora della colazione. Se poi l’olio ha dei difetti, ve lo garantisco, non è certo una passeggiata di salute.
“Sento i fiori marci nel mio caffè”.
Va bene la gomma, il bruciato, l’affumicato. Ma i fiori marci nel caffè non sapevo si potessero sentire fino a qualche mese fa. Fino a quando, in effetti, qualcuno vicino a me ha detto la parola magica. E, con mio sommo sbigottimento, era vero.
“mmm… come dire? Sa di piscia”.
Tra le terminologie più diffuse sull’odore dei vini, c’è di sicuro l’ormai conclamata piscia di gatto per il Sauvignon. Quindi, il sommelier con finezza e tatto parla più spesso di bosso. Ma quando ci si ritrova al tavolo con gli amici, la cara vecchia piscia di gatto è un must che mi fa sempre ridere. E che, nonostante tutto, non raggiunge i picchi erotici di Veronelli.
“La colatura di alici somiglia al mare putrido, sa di Venezia”.
Non mi sento di contraddire in toto il mio vicino di assaggio allo stand di una fiera di recente. Pur non c’entrando nulla con la laguna, in effetti alcuni collegamenti neuronali potrebbero riportare la vostra testa dalla colatura alle laguna. Ma io ve lo assicuro, è buona.
Scommetto che è successo anche a voi di ritrovarvi in situazioni a metà strada tra lo sputaggio selvaggio e l’imbarazzo enogastronomico. In queste occasioni potete sempre sferrare il colpo definitivo e farvi belli perché avete scoperto perché i piedi puzzano di formaggio!
[Crediti Foto: Rachels-table]