Abbiamo piluccato formiche ed erbe di campo. Cioè, qualcuno.
Siamo diventati fan del fingerfood nell’illusione che nutrirci di cose minute sia più innocuo per il colesterolo e la buccia d’arancia.
Abbiamo trasformato pressoché TUTTO il mangiabile nella sua versione hamburger.
Abbiamo imparato che le verdure sono davvero buone solo se arrivano dall’orticello confinante con il ristorante, amorevolmente coltivato da un capelluto chef in galosce.
Abbiamo sushizzato la tartare.
Trasformato la colazione in brunch.
Degustato macarons e caffè americano al posto dei biscotti al burro con il tè.
Cupcakizzato la torta della nonna.
Ora, con l’estate agli sgoccioli, è tempo di pronostici sulle mode della gastronomia autunnale 2012.
Quelli che seguono sono personali, e attendono con ansia di essere sconfessati, contraddetti, quotati e disattesi. Dai lettori di Dissapore prima di tutto. La “gastrotendenza” è dilagante, può raggiungere persino l’incensurato bar sotto casa, la trattoria alla buona, il banco del pesce del mercato rionale. Attenzione. Questa è una wish list per esorcizzare la virulenza delle mode alimentari, una letterina woodoo antifighettismo, che spera di (ri)portare il cibo dentro il sensato binomio bisogno-piacere.
COSA RESTERA’: BENE BRAVI BIS.
Il chilometro (sotto) zero. Volenti o nolenti, scettici o convinti, facciamocene una ragione: andare al ristorante rischia di diventare un costume molto complicato, talmente complicato che può assumere anche il ruolo di sgravarci la coscienza. Così, noi che insistiamo a comprare zucchine a novembre, pugne californiane e caffè colombiano, ci sentiamo sollevati nel mangiare il trifoglio dell’orticello attiguo all’osteria, costi quel che costi.
Il tofu. Vegani sì, vegetariani no. Duole dirlo, ma questo è uno dei pochi casi in cui degli integralisti non si fa volentieri a meno. Basterebbe carpire i piaceri della cucina anche provando a sedersi dal lato più etico del tavolo. Il tofu può diventare anche buono, non restare necessariamente una belluria da radical chic.
Il crudismo. Sotto forma di sushi: senza donne nude a far da vassoio, senza aggiunte italo-fusion a far da paravento. Ma anche carpacci e tartare italiche, che metteranno in usufrutto le salse più preziose e primitive del nostro ricettario mediterraneo: le marinate.
COSA NON RESTERA’: GRAZIE ABBIAMO GIA’ DATO.
La pasta madre. Per molte massaie prolisse e devote alle faccende domestiche, è diventata l’incubo ricorrente. Ci sono casalinghe che hanno smesso di fare spuntini notturni guardando vecchi episodi di Sex and the City perché temono di aprire il frigorifero. Il 2012 ha segnato una lievitazione di locali ibridi come forni-bar, salotti-panetterie etc. La moda/necessità del farsi il pane da soli in tempi di crisi non arriverà alle prossime elezioni. È un augurio che le massaie di cui sopra si ripetono schiccolando il rosario, con il bicipite dolorante di mille impastature.
Cupcakes. Cosa mi hanno fatto di male? Niente in particolare. A parte sabotare i compleanni, detergere le coscienze additando come demoni una fetta di schiacciata alla fiorentina o uno zabaione, trasformare le tavole della colazione in una rivista patinata. A mio modesto parere, yankee go home.
Il cinese al tavolo (quello vecchio stampo con l’involtino a 1 euro e il puzzo di fritto, non quello ultragourmet da potenti gaudenti del politburo, pure sbarcato in Europa). Non resterà, o trasmigrerà fuori dalle rotte battute del traffico cittadino. Polli alle mandorle e wanton fritti, per quanto nostalgicamente siano custoditi nei pertugi agrodolci del nostro stomaco emotivo, scompariranno. Scompariranno quelli serviti nei piattini decorati col bordo d’oro, sui taglieri girevoli, accanto al tovagliolo-origami.
Muschi e licheni. Il Noma sarà per la quarta volta il ristorante più buono del mondo, grazie a un’altra trovata del guru di Madfood: il bel René lancerà la formula HRE (Hunt, raise and eat). 200 euri per veder nascere la propria piantina, fare un safari nel formicaio, impiattare e consumare. (Galosce incluse).
COSA ARRIVERA’/TORNERA’: PERCHE’ NO?
Hot dog. Finita la tendenza burger arriva quella, pure più modesta e popolare, dell’hot dog. Cibo di strada, magari rifinito con le dovute attenzioni, l’hot dog potrebbe rivelarsi il cenerentolo della cucina moderna di domani.
La panna. Non quella da cucina ma quella liquida. Chissà che non si trovi il modo, una volta tanto, di sdoganare la cara vecchia regina delle tavole anni 80. Quella che rendeva artefatto e uguale a se stesso ogni sugo, quella che trionfava irrorando filetti al pepe verde e crespelle ai funghi, quella che negli ultimi decenni è diventata il nemico giurato di tutti gli intenditori. Possibile che davvero non esista un modo di riabilitarla?
La pizza fine. È un’altra cosa – dicono di lei gli eterni indecisi, quelli che stanno volentieri con i piedi in due staffe e apprezzano la pizza vera ma non vogliono rinnegare quella “cosa”, saporitissima eppure viziata da ingredienti profani, che si trova spesso soprattutto nel centro Italia. La diatriba fra pizza fine e alta è annosa questione, ma lasciando da parte i pregiudizi si potrebbe arrivare a un accordo. O a cambiare il nome di una delle due.
La galette. L’odore delle crêperie all’italiana mi nausea, non so voi. Sarà quel misto di zucchero vaniglia e nutella riscaldata a farmi dar di matto. Non posso dire lo stesso della versione salata, con il grano saraceno, ancora poco degnamente rappresentata da noi. Potrebbe essere il momento buono.
Il rabarbaro. No, non esiste solo in forma di caramella dall’involucro vintage. Il rabarbaro domina la pasticceria francese, per esempio, dove si accompagna pungente e asprognolo ai frutti rossi che lussureggiano su brisée diaboliche. Pregusto il momento in cui sbarcherà nelle teche delle nostre pasticcerie.
Perché voi, invece, cosa vi aspettate?
[Crediti | Link: Dissapore, immagine: Panorama]