Questo post è la versione ridotta di un articolo apparso nel secondo numero di “DISPENSA“, la foodzine che gli amanti del cibo degni di questo nome dovrebbero tenere sul comodino. Potete comprarla qui con un clic.
Ci siamo: un altro anno è arrivato. Fanno cento tondi. E sono ancora qui. Mentre preparo il primo caffè del 2055 mi ricordo il Natale 2013, quando mi chiamò Martina Liverani, direttore di Dispensa… era una foodzine dedicata agli amanti del cibo, insomma una rivista, una cosa di carta. Ve la ricordate la carta?
Un tempo ci facevano libri e giornali, ma era prima di fermare le rotative perché non li comprava più nessuno. Facciamo prima a capirci se andate alla Città del Gusto di Roma, che era la sede del Gambero Rosso, un editore che ha avuto un ruolo nel passaggio dalla golosità di massa al gastrofighettismo diffuso.
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Oggi l’hanno riconvertita in museo dell’editoria gastronomica, ci trovate una raccolta gagliarda di libri, biografie, guide. Anche le riviste di carta, una in particolare ha in copertina Mauro Uliassi.
Non fa niente se non ve lo ricordate Mauro Uliassi. Un Dio in terra come cuoco, circondato da una componente di fede e tifo negli anni dieci del secolo, ma sempre meno accreditato rispetto agli strappi, alle svolte che lasciava immaginare a noi attivisti culinari.
Una piccola task force di esegeti dell’albanella di molluschi e crostacei, della tagliatella di seppia con pesto di alga nori, del wafer di fegato grasso di anatra e shot di kir royal, del calamaretto Rimini fest o del gelato alla cipolla di Tropea e ostrica, i piatti più celebrati del suo ristorante affacciato sulla spiaggia di Senigallia.
Mare all’orizzonte e luce smagliante irradiata sopra gli spazi bianchi, abbastanza struggente d’inverno.
Allora a Uliassi avevano proposto Masterchef, un programma di successo nel cortocircuito culinario che aveva trasformato il tubo catodico in un canale digerente. Era prima che accorpassero tutti questi programmi nella TUC (Tivù Unica della Cucina).
Se decenni fa erano Sky, il digitale e le generaliste ora è un baccanale che ha raddoppiato Natali, Pasque, Carnevali, Feste della mamma e del papà purché si cucini tutto l’anno, dalla mattina alla notte: mantecare, sifonare, sfilettare, lardellare, impiattare non stop.
Ma lui aveva rifiutato. Era l’antitesi del cuoco scolpito, multitatuato, con le scarpe a guanto che andava forte nel 2014. Il suo teatro era il ristorante. Fare tv lo avrebbe portato via dall’unico posto dove si sentiva in pace, dove realizzava i buoni propositi e le idee brillanti per poi spiegarle con tono infervorato.
Nel suo ristorante nessuno gli avrebbe tolto la sensazione di cui aveva bisogno come dell’aria per respirare. Credere sempre nelle cose che fai. Sempre.
Ogni anno Uliassi chiudeva il ristorante per tre mesi, da dopo Natale alla fine di Marzo. Non erano solo vacanze. Il 10 febbraio di ogni anno iniziava il brainsailing, un rituale di formule e gesti per sperimentare la creatività e progettare il nuovo menu.
Insieme a 4 dei suoi cuochi più fidati, gente che per familiarità rivaleggiava con i componenti di una rock band costantemente in tour, Uliassi si chiudeva nel ristorante di Senigallia per 40 giorni.
Aveva preso a modello dal mondo dell’industria un protocollo fatto di idee, esperienze, ispirazioni fulminee sistematicamente appuntate, discusse e tradotte in abbozzi di piatti. Se alla prova dei fornelli le idee non davano i risultati sperati il confronto tra cuochi usciva dalla cucina per riprende fuori, attorno a un tavolo.
Insistere era fondamentale. Continuare, perseverare, ostinarsi, impuntarsi anche se ormai al limite della sopportazione. Senza avere paura per la riuscita dei piatti giacché a un dato momento, magicamente, la nebbia si sollevava.
COME COLTIVARE UN PIATTO DI CARNE
(pollo arrosto con l’insalata)
Così per esempio era nato il pollo arrosto con insalata. Perché a un uomo di cucina completo come Uliassi piaceva aggiungere al tema del pesce elementi diversi tipo la carne, sempre spruzzati da un filo di santonismo moderno.
Curioso come il presente non corrisponda all’idea che ne avevamo quando lo chiamavamo futuro. Dicevamo che nel 2055 ci saremmo nutriti di insetti invece non non ci siamo ancora stancati di cappelletti e pollo arrosto.
Uliassi aveva iniziato a lavorare all’idea incuriosito dal diffondersi di tavole alla moda dedicate al pollo. Sarebbe stato di fattoria ovviamente, e allevato a terra. Arrostito in modo impeccabile per risultare croccante pur preservando l’umidità della carne.
C’era chi nel brainsaling aveva riproposto la ricetta della nonna, era stato verbalizzato come si cucina il pollo a Chicago, qualcuno aveva accennato alla cucina thai e a un indimenticabile pollo arrosto mangiato in Bavaria. Ma prima del frullato di luoghi e tempi c’erano Senigallia e l’anconetano. Come si faceva il pollo in quella zona?
Arrosto, in sostanza un pollo al grill. Oppure in casseruola. E per il pollo in casseruola si usavano due metodi.
Alla cacciatora, cioè un coq-au-vin alla francese, un pollo cucinato nei vari odori, coperto con il vino bianco poi ridotto per ottenere una salsa abbastanza acida.
Altrimenti in potacchio, cioè con aromi e peperoncino.
Nel pollo alla Uliassi gli approcci si univano prendendo dall’uno e dall’altro. Dal pollo arrosto arrivava l’elemento croccante, dal pollo in potacchio la salsa, buona al punto da farci la scarpetta.
La coscia, la parte del pollo che ci litigavamo da bambini, veniva disossata, privata dei tendini per non farla ritirare una volta cucinata, quindi steccata e condita: maggiorana, salvia, rosmarino e aglio, sale, pepe. La carne veniva poi messa sottovuoto e cucinata per 12 minuti a 65°, più che vera cottura era una trovata per distendere le fibre.
Dentro, le cosce di pollo levate dal sottovuoto e cucinate sopra una piastra rovente 2 minuti da una parte e 2 minuti dall’altra, restavano tenere, mentre fuori prendevano la rosolatura.
Il potacchio aggiungeva la nota acida. Se per tradizione il pollo viene servito con l’insalata, l’amore per il pesce aveva suggerito a Uliassi un’insalata di mare. Non quella classica, ma un’insalata con il gusto del mare, bagnata con una riduzione di cannolicchi e di ostrica.
Vivrò altri 30 Natali, l’ho saputo dal TAV (test di aspettativa sulla vita) dopo aver collegato la mano alla diabolica macchina piazzata nel parcheggio post-condominiale.
Decido di iniziare l’anno modellando il mio futuro imminente con le mani perché non rimanga cera. Lo aggiusto, lo rendo accettabile. Torno da Mauro Uliassi: 102 anni da incorniciare.
[Crediti | Dispensa Magazine. Immagini: Gio Ghiandoni, Altissimo Ceto, Scatti di Gusto]