Persino nelle cucine dei ristoranti francesi, che la disciplina della brigata di cucina l’hanno insegnata al mondo, il germe del bullismo ha preso il sopravvento. Chissà se pure lì incolpano Masterchef. Antonello Colonna, uno degli chef che ho sentito per sapere se anche in Italia è così, mi fa notare una cosa saggia: la brigata è stata inventata per dare ordine e disciplina, quindi per evitare episodi di bullismo.
Eppure i fatti sono questi: il recente licenziamento a Le Pré Catelan (tempio dell’alta cucina parigina, tre stelle Michelin) di un assistente chef per aver bruciato ripetutamente la mano del collega con un cucchiaio arroventato, ha fatto scoppiare la rivolta degli chef francesi che si sono riuniti per affrontare il problema.
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All’assemblea Adeline Grattard, star del wok secondo il quotidiano Le Monde, titolare di uno dei ristoranti più alla moda di Parigi, Yam’Tcha con 1 stella Michelin, è entrata nello specifico parlando di bullismo contro le donne: i colleghi volevano che usasse un top traforato per combattere il caldo.
Anche il Corriere s’è occupato della faccenda, ma degli chef italiani che ha fatto intervenire solo Andre Berton, del ristorante omonimo, ha una storia di bullismo da raccontare: gli hanno arroventato il manico di una padella; lui ha incassato il colpo e dopo due mesi ha reso pan per focaccia ed è finita lì.
Allora mi chiedo se il bullismo si può prevenire oppure se è inevitabile che quando 50 giovani, tra maschi e femmine, lavorano a stretto contatto per ore di assoluta tensione qualcosa capiti. Il vecchio adagio per cui un buon capo è quello che sa tirare un bel calcio nel didietro a chi se lo merita funziona ancora?
Ho chiamato 5 grandi chef italiani, volevo capire cosa era capitato a loro in gavetta e cosa fanno ora, per mandare avanti la baracca senza troppi feriti.
Quasi tutti mi hanno detto una cosa: se uno sa fare il capo, il bullismo non trova spazio. E poi tutti, chi più chi meno, mi hanno fatto capire che i ragazzini di oggi arrivano in cucina per fare Masterchef, e questo non aiuta. Quasi nessuno invece mi confessa di aver subito atti di bullismo: partivo prevenuta e credevo che fossero timidi, ma mi sono ricreduta dopo le varie testimonianze.
Forse un bel calcio nel posteriore è davvero l’unico modo di mandare avanti la baracca. La retorica del capo, per quanto mi lasci perplessa, magari funziona davvero.
Moreno Cedroni, La madonnina del Pescatore – Anikò – Clandestino (Senigallia AN).
Animo piacevole e affabile per natura, lo capisci da come ti risponde al telefono: mi dice di non aver mai assistito a episodi di bullismo, ma che condivide il fatto che vadano denunciati. Gli chiedo allora come fa lui a mantenere una certa armonia, e mi risponde che “il servizio è come uno sport agonistico, può capitare che il capo squadra alzi la voce ma dopo tre secondi si torna al tono normale.
Certe tensioni vanno sfogate, mi confessa. Ci lasciamo d’accordo su un punto: un capo che urla per mantenere l’ordine non è bullismo, anzi, magari lo previene.
Antonello Colonna, Open Colonna e Vallefredda Resort.
30 anni nella ristorazione si sentono, infatti mette subito le carte in tavola: “guarda cosa è successo poche settimane fa a Eataly” (il cameriere 25 enne che ha accoltellato un cuoco durante un litigio) e poi mi cita Bernard Loiseau, il grande chef tristellato francese che si è ucciso nel 2003, raccontato nel libro Il perfezionista, dall’amico Rudolph Chelminski.
Mi dice che la cucina non è una moda, “è come il paracadutismo: o c’hai le palle per farla o non la fai”. Mi dice anche che a Roma, dove lavora lui, il bullo esiste da una vita, che si chiama coatto, e che forse lui ha sviluppato il sesto senso per questo.
Esiste un problema di gioventù, come dichiara anche in un’intervista rilasciata al Foglio qualche giorno fa. Il problema è che i giovani non sanno partire dal basso: nelle scuole alberghiere, mi dice, il 99% degli allievi sono iscritti in cucina, e solo l’1% in sala. Quando Antonello Colonna cerca camerieri non li trova.
Esiste però anche un problema di reclutamento (e qui viene fuori l’istinto del capo), lui, mi dice, sa al primo sguardo se uno è capace di reggere la cucina oppure no. E poi si continua col pugno di ferro: al primo episodio di bullismo viene cacciato, al primo episodio di mancanza di rispetto con le colleghe viene cacciato.
Ma mi dice di più: niente piercing sulla lingua nella cucina di Colonna, e solo da pochi anni sono accettati i tatuaggi. Gli chiedo cosa fanno i colleghi maschi alle cuoche donne, io vorrei dei particolari, ma lui ha le idee chiare e mi dà tecnica: “lo chef maschio che vuole fare il bullo il primo giorno è galante fuori misura, e dopo tre giorni comincia con le battute pesanti”. Allora lui lo caccia.
Luca Vissani, Ristorante Vissani (Terni)
Figlio d’arte, mi domando se avrà avuto una vita più facile o più difficile per questo. Mi risponde che si è guadagnato il rispetto della sua brigata a suon di promesse mantenute, e caricandosi i problemi in modo che gli chef potessero lavorare sereni. Insomma, niente bullismo per lui. Però mi confessa che: “essere già chef a 20 anni non è ben accettato” e forse in questo lascia percepire di non aver avuto proprio la strada spianata.
Anche per lui comunque il problema è Masterchef, eppure mi confessa di essere amico di Cracco e Barbieri, e che sanno fare molto bene lo spettacolo. Ma la cucina in un’ora di servizio è un’altra cosa: mi dice anche che vorrebbe caricare online sul suo sito la registrazione di un’ora di servizio nella sua cucina, per far capire che differenza c’è tra reality e realtà. La trovo un’idea fantastica.
Mi dice che i giovani arrivano in cucina e pensano solo a fare il piatto della vita. Capisco finalmente le
caratteristiche di questo bullo italico, che vuole saltare le tappe, che se ne frega della gavetta, che magari non fa gli scherzetti al collega, ma che lo disprezza continuamente per adulare se stesso.
Ernesto Iaccarino, Don Alfonso 1890 (NA)
Nemmeno lui ha subito episodi di bullismo: come si dice due indizi fanno una prova, la gavetta in famiglia aiuta. Mi
dice anche che data la sua formazione in economia e commercio ha un approccio un po’ diverso con la cucina, che si potrebbe definire “motivazionale”, anche se è una sintesi mia.
E’ l’unico che mi dice che per tenere a bada i ragazzi non urla mai, gli basta un occhiata per far loro capire “quanto è incazzato”, poi, alla fine del servizio, quando si può finalmente perdere la concentrazione, ci può “fare quattro chiacchiere in disparte”.
Mauro Uliassi, Ristorante Uliassi (Senigallia AN)
Finalmente qualcuno che lo confessa: Mauro Uliassi mi dice che ha subito episodi di bullismo quand’era un giovane chef apprendista. Il bullo era più vecchio di lui e a lungo andare la cosa si è fatta umiliante. Però poi, giusto per dimostrare quello che diceva Colonna sugli chef con le palle, lui questo qui se l’è preso da parte e gli ha detto: “Se
continui così ti spezzo una gamba”.
Dal giorno dopo è cominciata la serenità, e chissà che il grande Uliassi non sia nato anche un po’ in quel momento lì.
Insomma sembra che ce la caviamo, che le nostre cucine siano ancora disciplinate. Ma sarà vero?
[Crediti | Link: Eataer. Immagini: Scatti di gusto, gallery hip, kong news, witaly]