Ormai non ci facciamo più caso ma un tempo i cuochi erano entità senza volto, nascoste nelle loro cucine e rappresentate solo dai piatti e dalle loro didascaliche ricette, personali ma prive di una reale personalità di riferimento.
Poi nel gennaio 1990, esattamente 25 anni fa, usciva nelle librerie uno dei libri di cucina più importante di sempre, White Heat, firmato dallo chef Marco Pierre White, su Dissapore molto amato.
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E l’immagine degli chef non fu più la stessa.
Secondo opinione di molti osservatori e addetti ai lavori, fu proprio quel libro a rappresentare una svolta nella percezione della figura di chef.
Un’opera controversa, metà art book e metà libro di ricette, che racconta non solo come realizzare opere d’arte culinarie, ma che mischia l’auto-biografia, l’alta cucina con la fotografia fine art, che potremmo spingerci a definire una sorta di street photography, dove la strada diventa la cucina.
Alle ricette si alternano riflessioni personali di Marco, chef inglese di origini italiane, riflessioni di vita, dure, prive di edulcorante, secche, nude e crude, visivamente estese da una serie di incredibili fotografie in bianco e nero realizzate dalla mano esperta di Bob Carlos Clarke.
Una scelta che ai tempi poteva apparire sacrilega: il bianco e nero in cucina, dove il colore è parte integrante del processo creativo gastronomico?! Parbleu!
Invece le immagini emergono con una potenza espressiva inarrivabile (e probabilmente a oggi inarrivata), da cui emerge una nuova figura di chef.
Non più i vecchi panzoni buontemponi grassi e lindi: Marco Pierre White è uno chef rude, capello lungo e spettinato, aria truce, barba incolta, espressività da rockstar navigata, che ci ricorda un giovane Jonny Cash dei fornelli, sigaretta in bocca e aria sprezzante.
Vale la pena citare in merito un passaggio del libro, sottolineato da Anthony Bourdain (che molto deve a Pierre White per il bad boy protagonista del suo Kitchen Confidential) in un articolo tributo a White Heat:
“Ogni cuoco che sostiene di farlo per amore è un bugiardo. Alla fine della giornata è tutta una questione di denaro. Non ho mai creduto che avrei mai potuto pensarla così, ma lo faccio ora. Non mi piace. Non mi piace dovermi uccidere sei giorni alla settimana per pagare la banca …
Se non hai soldi non si può fare nulla; sei un prigioniero della società. Alla fine della giornata è solo un altro lavoro. E’ tutto sudore e fatica e sporcizia: è la miseria”.
White Heat cambiò la percezione comunicativa attorno alla figura dello chef e da semplice alchimista gastronomico, nascosto dietro le sue formule magiche ed alambicchi, ecco emergere la nuova figura di chef star.
Un nuovo culto della personalità portato poi alla ribalta mediatica da epigoni come lo stesso Gordon Ramsay, il cui “brand” è probabilmente oggi più conosciuto presso le masse, ma che fu lui stesso allievo proprio di White, così come molti altri.
Se oggi lo chef è una star è anche grazie a White Heat.
Purtroppo il libro non è mai stato tradotto in italiano, ma qualunque appassionato di cucina in quanto forma d’espressione artistica, dovrebbe procurarsene una copia, anche solo per ammirare le incredibili immagini in esso contenute.
Per chi fosse interessato il libro si può acquistare in versione originale da Amazon.
[Crediti | Link: Amazon, Wikipedia, Dissapore, Eater. Immagini: Bob Carlos Clarke]