Ampio spazio l’altro giorno sui giornali alle affermazioni della presidente della Camera Boldrini (non “il” presidente, né la presidentessa, né la Boldrini. Avete preso appunti? So che non è facile stare sempre linguisticamente al passo con il politicamente corretto). La quale lamentava che nelle pubblicità in tv le donne interpretano sempre il ruolo della serva.
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E, in effetti, quando si tratta di casa – alimentari, prodotti per la pulizia, elettrodomestici – lo spot prevede donne bellissime che lavano pavimenti di buona lena e madri ventenni prolifiche come coniglie che nutrono i bambini con cotolette pre-pronte. Tutto ciò, per via dell’insondabile psicologia pubblicitaria, pare avere un impatto molto positivo sul loro umore.
Insomma ho letto Boldrini e ho pensato: beh. Ovvio. Sono certa che su questo possiamo essere tutti d’accordo.
E poi la mia palpebra ha cominciato a tremare. Già a livello puramente semantico, i termini utilizzati in questi tweet danno la misura del problema.
Sorpresa sorpresa: siamo nel 2013 ed essere la moglie di qualcuno a caso non è il massimo obiettivo di una donna.
Siamo migliori negli studi, lavoriamo come muli, pretendiamo pieno rispetto e parità, fuori e dentro casa. Tutto questo suona tremendamente anni ’70? Non sono io a dovermi scusare: ad antichi problemi, risolti solo per finta, corrispondono antiche argomentazioni.
(O forse sono solo io che ho smesso di depilarmi le gambe.)
Ma, direte voi – tanto bene vi conosco, e nemmeno siamo sposati! – molte donne sono felici di dedicarsi alla loro famiglia e non considerano degradante “servire”. Il punto non è ovviamente questo, anzi. Anche Gesù (sto diventando uno di quegli atei che citano il Vangelo! La deriva Giuliano Ferrara-style è dietro l’angolo) dice: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire”. Quando si ama, prendersi cura di qualcuno è un dono.
Però, il nostro è un paese in cui le donne sono ancora costrette a un doppio turno di lavoro, fuori e dentro casa. Questo sistema di cose viene validato e promosso dalla pubblicità televisiva.
Pare di sentire l’obiezione: se le cose stanno così, è normale che vengano ritratte dalla pubblicità. Ma la pubblicità, così come la tv, non è lo specchio della realtà del paese. Come spiegare altrimenti il fatto che in un paese anziano, multietnico, dove famiglia vuole spesso dire una persona sola o una coppia omosessuale, negli spot ci sono solo ventenni caucasici etero e bellissimi con nidiate di figli?
La pubblicità non è un documentario: il suo lavoro è un altro. Corrisponde piuttosto all’ideale, non del tutto conscio, di come le cose dovrebbero andare – e quel prodotto sarebbe un passo proprio nella direzione giusta!
Fin qui la teoria. Ora esercizio pratico per vedere se avete capito.
Osservate questo spot Kellogg’s Extra.
Qui si ribaltano tutti i cliché sulle avventure di una notte. Inspiegabilmente, la ragazza non ambisce a farsi sposare e la mattina dopo batte anzi furtivamente in ritirata (tecnicamente si chiama walk of shame ovvero “la passeggiata della vergogna”). Solo i deliziosi Kellogg’s la convinceranno a fermarsi a colazione, operando in lei la metamorfosi da mangiatrice di uomini a mangiatrice di cereali.
È uno spot maschilista o femminista?
Progressista o opportunista?
Rispondete nei commenti. La risposta giusta è più sotto, ribaltata.
(In realtà non lo so. Mi fa ridere, ma forse per le ragioni sbagliate. Dovrete decidere secondo coscienza)
[Crediti | Link: Il Mondo, YouTube, Twitter]