Magari tra voi c’è chi pensa che sarebbe gustoso assaggiare una parmigiana di melanzane accostandosi all’inguine di una bruna e formosa mediterranea. O una tagliatella al ragù servita sullo sterno di una procace sfoglina. Che dire di un brodoso e tremolante lampredotto accomodato sul ventre di una fiorentina verace.
Se invece siete fra quelli che, come la sottoscritta, provano un vago senso di disagio all’idea, allora probabilmente sarete d’accordo anche con l’Ambasciata del Giappone, che ha scagliato i suoi strali contro il body sushi, o nyotaimori, bollandolo come la sconveniente trovata commerciale di ristoranti finto-giapponesi, dagli States al “nostro” Yoshi, Ostiense, Roma (e pure il body sushi “a breve” del Kuriya, un giapponese di fronte al ministero della Giustizia).
La prima obiezione che mi si può fare è: “ma il sushi è mooolto più asettico del lampredotto, e si presta benissimo al gioco erotico della modella vassoio, servita su un piatto d’argento e cosparsa di rondelline lavorate a base della famosa crudité di pesce, turgide uova di lompo che occhieggiano al centro di ogni maki e rosei gamberetti adagiati con fare lascivo sul riso – con tanto di alga a decuplicare l’effetto bondage”.
La seconda obiezione che mi si può fare è: “e qui ti volevamo, alla fine è venuta fuori la moralista che c’è in te. Ma scusa, il cibo – in qualsiasi posto, anche in Italia – porta con sé una carica erotica non indifferente, e in ogni caso prevede una dimensione di gioco. Ovvio, dipende che cibo, chi lo serve e chi lo mangia…”.
Okay, ma a parte gli erotomani incalliti e gli psicoanalisti dell’ultima ora, tutti gli altri concorderanno che, a prescindere dai costi non proibitivi (199 euro di noleggio modella e 59 euro a cranio per le cibarie) si tratta di una cosa, diciamo, non proprio “raffinata”? Se per esempio i condizionatori non bastano e la modella suda? Detto questo però, resta sempre da capire cosa ci sia di autenticamente giappo in quest’usanza, indipendentemente da quanto invitante o quanto respingente la vogliate considerare.
Alcuni siti internet dicono che sì, il nyotaimori è una cosa giapponese doc. E che ci sarebbe anche la versione per desperate housewives – non me ne vogliano – cioè il nantaimori, con il sushi servito su omaccioni distesi, per garrule donnine armate di bacchette e appetito/i.
La parità si raggiunge nei modi più impensabili.
Altri siti dicono invece che alla base di questo costume c’è, effettivamente, una pratica feticistica orientale, ma di fatto il body sushi è più diffuso in America, in Canada e in Europa di quanto non lo sia nella terra madre della pietanza glamour a base di pesce crudo.
L’Ambasciata, con tanto di lettera scandalizzata vergata dall’ufficio culturale, ha scomunicato i cosiddetti ristoranti giapponesi che avrebbero macchiato il buon nome della prestigiosa cucina del Sol Levante, ma intanto ha incassato il colpo senza mostrare i muscoli di fronte al catalogo infinito e sempre in aggiornamento di ristoratori che si spacciano per giapponesi senza aver mai visto una tempura o un sashimi in vita loro.
Chi gestisce il locale di via Ostiense, intanto, fa spallucce, e di certo si appresta a godere dell’ennesima pubblicità senza sentirsi in dovere di dire arigatò. È tutta bravura loro, d’altra parte.
E si giustifica dicendo che la finezza del pesce servito sulla ciccia “è fusion”, sissignori.
Ora, ditemi pure che sono una postfemminista incallita, incapace di accettare un così illustre esempio di liberismo ibrido fra tavola e lenzuola, ma io, sia o non sia un’usanza giapponese, del nyotaimori farei volentieri a meno. Ad animarmi, la stessa riprovazione che provo davanti ai capelli tinti degli ottuogenari, ai peli ispidi con il crocifisso, ai gambaletti color carne, al lampredotto senza salsa verde.
[Crediti | Link: Corriere.it]