Bisognerebbe vivere a posteriori. Decidiamo tutto troppo presto. Per esempio, e prego il plotone vegano di non sparare (si scherza vè, peace&love), finora in cima alla mia personale classifica dei “mestieri buffi dal nome anglofono che non avrei mai pensato potessero esistere invece esistono” c’erano il dog trainer, subito tallonato dal life consultant terzo e buon ultimo il personal shopper. Ieri ho scoperto che esiste il VegCoach.
Roberta Bartocci è una biologa nutrizionista, vegetariana da 15 anni e vegana subito dopo. Dal suo sito si propone come VegCoach, esperta “di alimentazione, nutrizione e lifestyle vegetariano e vegano” che aiuta le persone a cambiare stile alimentare, a fare lo switch, in pratica, offrendo anche consulenze a comunità e ristoranti.
Se vi state chiedendo a quante persone mai può servire un VegCoach, guardatevi le ultime rilevazioni Eurispes: il 4,9% degli italiani pratica una dieta vegetariana, e l’1,1% a una vegana. Una percentuale bassa rispetto al 94% degli onnivori, ma in aumento rispetto al 2012.
Potevamo non portarvi la VegCoach su Dissapore?
Cosa fa, tecnicamente, il VegCoach?
Il VegCoach segue e guida le persone verso stili alimentari sostenibili, vegani, vegetariani o comunque con minor consumo di proteine animali. Offro a queste persone il supporto che difficilmente trovano altrove, visto il livello di disinformazione sull’argomento. E’ anacronistico e irresponsabile pensare al cibo solo in termini di gusto, bisogna scegliere uno stile alimentare che prenda in considerazione anche salute e rispetto per l’ambiente.
Da chi è formata la clientela del VegCoach?
Tra i privati c’è un 60% di donne, in maggioranza under 25, e tante mamme con bambini. Scelgono di cambiare dieta per motivi etici, ma anche di salute, o per un controllo del peso più automatico. Con le imprese si lavora ancora poco, c’è molta diffidenza: mi cercano soprattutto agriturismi, a cui consiglio ricette a basso impatto ambientale e nutrizionalmente bilanciate, e organizzo molti corsi di cucina.
Con i vegani sfioriamo spesso la rissa, come quando, di recente, abbiamo parlato di bambini vegani. Tu hai un figlio: con che tipo di alimentazione l’hai cresciuto?
La letteratura scientifica prova che la crescita dei bambini vegani è perfettamente normale, e che anzi, soffrono meno le patologie infiammatorie. Il problema è soprattutto sociale, perchè le mense scolastiche non sono ancora attrezzate. Per questo sto crescendo mio figlio come un semi-vegan, un vegan elastico insomma: se vuole mangiare un po’ di cioccolato al latte o un dolce che contiene uova non gli vieto di farlo, e di certo non lo colpevolizzo. E poi, anche dare ai propri figli la carne non è un’imposizione? Se volessimo uniformarci alla maggioranza cresceremmo bambini obesi.
Qual è il passo più difficile per chi passa a un’alimentazione veg?
Mangiare fuori casa. Da questo punto di vista siamo un paese incivile: è ancora difficile trovare locali che preparino piatti vegani più gustosi di una pasta o un riso in bianco. Nessuno, tanto per dire, usa i legumi. Diventare vegani, però, è più facile di quello che si pensi: io una volta ero una carnivora, e di quelle spietate. I miei nonni erano contadini, sono cresciuta vedendo sgozzare maiali e capretti: adoravo le interiora, il ciauscolo, i salumi. Eppure, sono riuscita a cambiare stile di vita modificando i gusti. Se ce l’ho fatta io, possono farcela tutti!
Tra poco è Pasqua, tipico periodo di incomprensioni tra onnivori e vegani che ruota soprattutto intorno all’agnello. Cosa ci sarà sulla tua tavola pasquale?
Sicuramente non un cucciolo ucciso solo per gola e per tradizione, non vedo la necessità di portarsi a tavola violenza anche a Pasqua. In più, la produzione di carne ovina e caprina ha un impatto ambientale ancora più alto di quella bovina. Non ho ancora deciso cosa preparerò, forse un primo con gli asparagi, i carciofi alla romana e un piatto di proteine vegetali come seitan o legumi.
[Crediti | Link: VegCoach, Green Me, Dissapore. Immagini: VegCoach]