Il post che state per leggere contiene la seguente notizia: piuttosto che criticare, biasimare e disprezzare, Dissapore proverà, per una volta, a comprendere McDonald’s. Humanas actiones non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere. Questa frase di Spinoza è una delle citazioni che preferisco in assoluto: le azioni umane non vanno derise, compiante o detestate, vanno comprese. Inutile adesso farsi pervadere dal disagio, da queste parti abbiamo il grilletto facile contro Mc Donald’s, probabilmente il nome più randellato dall’alto della nostra gastrospocchia. Cosa c’è di più facile che sparare a zero contro il numero uno del fast food?
Qualità men che minima, allevamento industriale, omologazione, potere subdolo del marketing e quel peculiare olezzo che impiastra i capelli. Un lavoretto facile facile.
Immaginate la mia sorpresa nel leggere lo splendido pezzo di Francesco Costa —il giornalista, noto bigmacchista, che ha lavorato tre giorni al Mc Donald’s di Segrate— per Il, settimanale del Sole24Ore. Niente giudizi di merito, niente tirate moralistiche, solo il racconto di quel che succede tutti i giorni nelle cucine Fast.
Cosa ho scoperto spostandomi dall’altra parte della barricata? Per esempio, che gli standard igienici sono severissimi. Ci si lava le mani ogni ora, al suono di un timer
“ma la policy prevede che ci si debbano tassativamente lavare le mani anche ogni volta che ci si toccano il viso o i capelli, […] ci si toccano i vestiti, […] si stringe la mano a qualcuno, […] si cambia mansione, […] si torna da una pausa, […] si esce dalla cucina, […] si raccoglie qualcosa caduto a terra”.
Rigore anche nel combattere gli sprechi, in cucina tutto è controllato e cronometrato con regolarità: così si riducono lo sciupio del cibo, le attese dei clienti, le inefficienze del servizio.
“Niente è casuale nella preparazione di un panino, dalla sequenza di posizionamento degli ingredienti ai secondi di cottura della carne – e nel’ora di punta i 15-20 addetti della cucina si trasformano in una specie di corpo di ballo, dove ognuno sa alla perfezione cosa deve fare e il lavoro dell’uno è allacciato e sincronizzato con quello dell’altro”.
Se da una parte tanta efficienza strappa quasi un applauso, dall’altra, la cucina che diventa ripetizione puramente meccanica, una questione di timer, statistiche e calcoli, inquieta non poco. In ogni Mc Donald’s esistono
“software che sulla base di una montagna di dati storici sui consumi e le vendite è in grado di fornire una stima, per esempio di quanti Mc Nuggets saranno venduti nell’ora tra le 1 e le 14 di un giovedì di novembre in un dato ristorante”.
La guida di Costa nel McMondo è Alberto, 25 anni, manager della filiale di Segrate e presto vicedirettore. Laureato in mediazione linguistica e culturale, ha iniziato tre anni fa come addetto alle casse, ma è un tipo in gamba, ha fatto subito carriera come molti altri giovani. Ho scopèerto che dei 16mila dipendenti italiani di Mc Donald’s l’81 per cento ha meno di 35 anni, e che un contratto di apprendistato dura in media 36 mesi, trasformandosi nel 90% dei casi in un contratto a tempo indeterminato. Dati che sembrerebbero avere poco da spartire con lo stereotipo dei lavoratori da fast food: giovani sottopagati alle prese con un lavoro alienante e con poche garanzie.
Senza necessariamente arrivare a qualche conclusione, la catena di montaggio McDonald’s contrapposta alla cucina come la intendiamo noi non è una novità. Sorprende invece il sistematico controllo di igiene, tempi di cottura, requisiti degli alimenti. Non una cosa che associavo automaticamente al fast food.
La cosa migliore da fare è leggere senza pregiudizi, al netto delle posizioni critiche preconcette. Poi tornare qui a dire come la si pensa.
E siccome ormai questo è, ufficialmente, il post delle citazioni, non si diceva anche“Se conosci il tuo nemico, conosci te stesso”?
[Crediti | Link: IlSole24Ore, Francesco Costa, immagine: Jezebel]