Non prendetevela con me se rilancio l’annoso dilemma forma vs. sostanza, ma con la rivista scientifica “Flavour”. Sì sa, la scienza molto spesso commissiona studi su questioni che noi attribuiamo al senso comune. Però vi assicuro che qui siamo su livelli di speculazione importante. Niente cose tipo: “al ricordo del panino con la mortadella preferisco la pizza con la mortazza senza ricordi”, per capirci.
L’idea alla base è che l’esperienza gastronomica non ha nulla da invidiare a quella artistica: ha una sua temporalità, c’è un fruitore e un creatore, coinvolge sentimenti ed emozioni e richiede una valutazione.
Lo studio messo a punto da Flavour mostra l’esperimento dello chef e ricercatore franco-colombiano Charles Michel, già collaboratore nelle cucine della nostra ultrastellata Nadia Santini, allo scopo di studiare le relazioni tra esperienza sensoriale e percettività.
Con l’obiettivo di dimostrare una volta per tutte la reale influenza dell’aspetto estetico sulla valutazione di un piatto, Michel ha proposto ad un gruppo di 60 persone, la stessa ricetta (un’insalata di rape, funghi, cavolo e lemongrass) presentata in 3 modi diversi: totalmente scomposta, addensata al centro del piatto e disposta a rappresentare il celebre dipinto di Kandinsky “Painting n°201”.
Come volevasi dimostrare la maggioranza delle persone coinvolte nel test, pur non sapendo che il piatto era ispirato ad un’opera d’arte (magari manco la conoscevano…), ha preferito la versione “Kandinsky”, e si è dichiarata disposta a pagarla più delle altre sia prima che dopo l’assaggio.
Le ragioni di questa scelta, accreditata da Charles Michel nel suo articolo scientifico, sono sostanzialmente due:
1) Ogni individuo è dotato di un’abilità intrinseca al riconoscimento del bello: a prescindere dal giudizio oggettivo, siamo in grado di riconoscere un’opera d’arte.
2) Siamo anche in grado di riconoscere e apprezzare il lavoro creativo di un altro individuo.
Entrambe le cose non spiegano come mai la gente spenda 15,2 milioni sterline per comprarsi un quadro di Mondrian ma non usciamo dal seminato.
In Italia stupiscono le meraviglie di Nino De Costanzo, chef de Il Mosaico, ristorante dell’hotel Manzi.
Per dire, nel piatto “Le Paste… le patate”, ventidue (22!) formati di pasta convivono con patate diverse (per varietà, colore, forma e consistenza) in una plastica interpretazione del classico Pasta e Patate. E il suo crudo di mare viene presentato in grandi mattonelle colorate di vetro di murano, trasparenti come i crudi.
All’estero abbiamo visto il dolce omaggio a Mondrian della cuoca americana Caitlin Freeman, che con il suo trio di sorbetti ha anche celebrato le immagini della fotografa Alejandra Cartagena.
E ora che abbiamo la dimostrazione “scientifica” di quanto arte e cucina si fondano nell’esperienza gastronomica, vi chiedo ancora una volta quanto la nostra disponibilità a pagare 200 euro euro per una cena, dipenda dal binomio sensoriale gusto-vista e quanto semplicemente dalla goduria del palato?
Non lo scopriremo mai, ma voi ditemi la vostra.
[Crediti | Link: Npr, Dissapore, Flavour Journal, Dissapore. Immagini: NPR]