La dolce Geum-ja ha scontato tredici anni di carcere per aver confessato il rapimento e l’omicidio di un bambino. Durante la detenzione ha aiutato i deboli, ha assistito il prete del carcere, ha punito i violenti e soccorso i malati. Tanto bella e buona da ricordare la Madonna, diventa difficile comprendere come abbia potuto commettere un tale reato.
Ma infatti non è stata lei.
Geum-ja è innocente. La donna, protagonista di Lady Vendetta (Simpathy For Lady Vengeance) film del regista coreano Park Chan-wook del 2005, nel cui remake americano reciterà Charlize Theron, ha confessato un crimine commesso dall’uomo che amava.
Dopo tredici anni esce dal carcere e il prete, guida spirituale che l’ha seguita durante la detenzione, le porge un piatto con un panetto di tofu.
«È usanza mangiare del tofu il giorno del rilascio, così vivrai nel candore e senza peccato per sempre» le dice il sacerdote, sorridendo, col piatto in mano.
Ed eccolo il tofu. Un blocco squadrato, perfetto, bianco e molliccio che amplifica i tremori della mano del prete, convinto di aver una santa di fronte a sé. La prova inconfutabile che anche il peggior criminale si può redimere. La redenzione, la purezza, il pentimento che si è fatto carne.
Ma la dolce Geum-ja non è la madonna e non è una santa. Tende la mano verso il piatto e lo ribalta. Il tofu cade per terra, sotto gli occhi sgomenti del prete.
«Perché non vai a farti fottere?» dice Geum-ja rinunciando al candore estetico e morale del tofu, in cambio di un ombretto rosso sangue, un cappotto di pelle nera e… la vendetta. Sì, perché in questi tredici anni la donna non ha fatto altro che pianificare e porre le basi, per vendicarsi di quell’uomo che amava e che l’ha tradita. Tredici lunghi anni di rancore e dolore taciuto che presto esploderanno con violenza e lucida furia.
Geum-ja rifiuta il tofu, Agnus Dei che monda i peccati della sua anima, e sceglie la via del male e della vendetta.
Se il cibo diventa catarsi, simbolo e rituale per liberarci dal male, è possibile disegnare una mappa mentale della soteriologia (studio della salvezza) dell’alimentazione? E quante volte diciamo “No” al bene, e ci facciamo sedurre dal cibo del Demonio?
Ci sono alimenti santi e alimenti demoniaci?
Tralasciando la religione ed i suoi dogmi millenari, ogni giorno la nostra alimentazione diventa soggetto di un’analisi morale, più o meno conscia. Quel fritto che poteva essere evitato, quel riso integrale che ci fa sentire in armonia con il creato. Il panino con la salamella del rivenditore ambulante che ci fa sentire colpevoli e il minestrone che ci riallinea la coscienza.
C’è o non c’è qualcosa che va oltre l’appagamento fisico, nel lasciarsi sedurre dalle untissime patatine fritte consumate direttamente nel sacchetto, nella nostra macchina, fuori da un fast-food aperto fino a tardi? E cosa succede nella nostra testa, nel momento in cui cerchiamo di convincerci che il tofu che stiamo mangiando è persino buono oltre che sano?
p.s. Non ho nulla contro il tofu. Ho mangiato piatti a base di tofu nelle peggiori bettole giapponesi, che mi hanno commosso, talmente erano buoni e gustosi. Il punto è che bisogna saperlo cucinare. Io non ne sono capace, per esempio.
p.p.s. Il tofu che da noi in Italia viene venduto a caro prezzo, come pietanza salvifica, bio-chic o elisir di lunga vita, nel Paese del Sol Levante viene venduto al contenutissimo prezzo di 50-70 centesimi a blocchetto (un paio di etti circa). Il che lo rende, appunto, un piatto umile e alla portata di tutti.
Il tofu è l’ingrediente cardine, per esempio, della shojin ryori, la cucina vegetariana buddhista, in cui non si usa nulla che derivi dal regno animale e non si usa aglio, cipolla, porro o scalogno perché il loro sapore, così aggressivo, potrebbe coprire il gusto degli altri ingredienti e compromettere l’armonia cosmica e globale della portata.
[Crediti | Link: Lucky Red, Bad Taste, immagine: Lucky Red]