Con la giornata di ieri, dedicata a cuochi fiamminghi, cuochi sardi, pasticceria e libri, s’è chiusa la nona edizione di Identità Golose, il congresso di cucina ideato dal giornalista Paolo Marchi e realizzato con la società milanese Magenta Bureau. Intorno alle 17 la metà degli standisti stavano già smobilitando, mentre un ispirato Heinz Beck presentava il piatto “Sole” incassando gli ultimi applausi della manifestazione. Questo, ça va sans dire, è un post sulle conclusioni.
Dunque, cosa dire? Buona l’affluenza, appassionata la partecipazione, notevole la presenza dei giovani sia tra i relatori che nel pubblico, poche le donne cuoche, ne ho contate tre, ma ben posizionate sui diversi palchi con i colleghi maschi, e premiate anche (Cristina Bowerman, premio Identità Donna 2013). Tante invece le blogger e le giornaliste, belle e preparate.
Personalmente due sono stati i miei highlight del congresso: Identità di Sala (tra le novità di quest’anno) e la sfilata dei “Giovani Leoni della cucina mondiale”, da Lorenzo Cogo a Magnus Nilsson.
Partiamo dalla Sala. Già il semplice fatto di parlarne – finalmente – sposta l’attenzione dallo chef, spaventoso minotauro tra le infrastrutture labirintiche della cucina, al ristorante inteso come macchina cui servono tutti gli ingranaggi per funzionare. Ascoltare con che passione parla chi si trova a diretto contatto con il cliente, capire quanto lavoro c’è dietro un gesto che diamo per scontato restituisce dignità a un mestiere vertiginosamente sottovalutato. Non c’è ristorante che non lamenti in questo periodo l’assenza di giovani che vogliano occuparsi del servizio. Cameriere è una brutta parola, un lavoro di ripiego, non una professione che richiede bravura e impegno. Malgrado la crisi, malgrado manchi il lavoro, in sala non vuole starci nessuno. Ecco, forse se iniziamo a parlarne con entusiasmo qualcosa cambierà.
E poi i ragazzi (nello foto, Christian Milone, Chef del ristorante Trattoria Zappatori di Pinerolo). Sono rimasta colpita dalla complicità sincera che sembrano avere tra loro i cuochi più giovani, sia italiani che stranieri. Non parlo solo dei relatori del congresso, ma anche di chi è venuto per assistere, per cucinare ingaggiato da uno sponsor, magari per sostenere gli altri. Sono bravi, alcuni di più, sono molto concreti perché ancora liberi dal peso di una fama ingombrante. Quanto si tratta dei giovani cuochi, non importa il dove (bistrot/ristorante, dicotomia ormai noiosa) ma il come, questi ragazzi hanno fantasia. E coraggio.
Mi resta un dubbio, peraltro piuttosto condiviso, e riguarda proprio gli aristochef. Il principale congresso di cucina italiano merita di più da parte loro, soprattutto se si vuole che cresca ancora. Intanto l’argomento, che quest’anno era il Rispetto, è stato affrontato in alcuni interventi in modo piuttosto forzato. E poi le ricette.
Andare a IG e spiegare il piatto che si fa tutti i giorni a mo’ di spot per il proprio ristorante temo non sia il modo migliore per “usare” l’occasione. Forse, e dico forse, si dovrebbe parlare di nuove tecniche, nuove sperimentazioni, nuove idee. O no? Sbaglio?
[Crediti | Immagini: Lorenza Fumelli]