Capisco poco o niente di vino. Avrei potuto essere più elegante, e scrivere: “Non ho ancora sistematizzato le mie conoscenze in ambito enologico”. Mi sarei data delle arie ma la sostanza non sarebbe cambiata.
Se devo comprare una bottiglia o anche solo ordinarla al ristorante, esternalizzo il know how: amici eno-strippati, blog di settore, guide. A scanso, oggi sul settimanale Panorama un americano mi ha detto che non ho capito niente.
Che le degustazioni di vino non hanno basi scientifiche.
Che i premi enologici sono “assegnati a caso”.
Robert Hodgson produce vino in California sotto l’insegna della Fieldbrook Vinery Winery. Portando in giro i suoi vini per competizioni enologiche, ha notato che i premi conquistati non seguivano alcuna logica apparente. Lodato qui, un bianco veniva stroncato lì. A un rosso andava il plauso di una giuria e l’ignominia di un’altra.
Così, nel 2005, alla California State Fair (la più importante competizione enologica dell’America del Nord) ha iniziato un esperimento. Concluso due mesi fa, a giugno di quest’anno.
Ai giurati di ogni degustazione ha sottoposto lo stesso vino per tre volte. A loro insaputa, naturalmente. Ebbene, solo un giurato su dieci ha assegnato a quel vino il medesimo voto. Per tutti gli altri il punteggio, assegnato su una scala da 50 a 100, è cambiato anche di quattro punti da una degustazione all’altra. Pochi punti possono sembrare irrilevanti, ma bastano a condizionare una gara, e per un’azienda una medaglia d’oro ha un grande valore in termini di vendite.
Una Caporetto, in pratica.
Ora, se a distinguere un vino dall’altro non riescono gli esperti o i sommelier, che speranze possiamo avere noi, comuni mortali?
Secondo Hodgson – tranne rare eccezioni – NESSUNA.
I giudizi oggettivi basati solo sui nostri sensi sono fuori dalle possibilità umane. Le valutazioni sono difficili perché il cervello interpreta aroma e bouquet basandosi su molti più elementi che non le semplici sostanze chimiche presenti nella bevanda. Altrettanto importanti sono i fattori ambientali: dalla temperatura del vino ai pasti precedenti dei giurati, dal loro stato di salute all’ora, dalla stanchezza e persino dalle condizioni atmosferiche.
Risultati scioccanti: possibile che tutti i sommelier ci prendano per il naso? Panorama lo ha chiesto a due di loro tra i più rilevanti.
Marco Reitano (sommelier a La Pergola):
“Nessun sommelier è in grado di riconoscere qualsiasi vino semplicemente assaggiandolo. Non fa parte del nostro lavoro, che invece è un expertise sulla qualità di un prodotto. Il compito di un sommelier non è indovinare i vini, ma riconoscere la qualità e capire quali sono gli abbinamenti più adatti a tavola”
Come dire che l’importanza di voti, classifiche e guide andrebbe drasticamente ridimensionata.
Luca Gardini (ex sommelier del ristorante Cracco):
“L’analisi sensoriale presuppone sempre una dose di soggettività, non tanto nel giudizio, quanto nel riferimento a un bagaglio culturale, olfattivo, gustativo. Il giudizio non va modulato sul punteggio o sulla quantità dei descrittori, ma sulla capacità di comprendere se un vino ha permesso al vitigno di esprimersi, o come il terroir o l’annata abbiano avuto voce in capitolo”
Ho provato a saperne di più, l’idea che quella dei sommelier fosse solo messinscena, con tutti gli investimenti in bottiglie fatti al ristorante, non mi andava proprio. Ma tra bulbi olfattivi e composti organici, componenti volatili e metotissipirazine, mi sono persa.
Però, chi la sa più lunga su vino, degustazioni e analisi sensoriali, mi faccia capire se la mia venerazione per i sommelier è da ridimensionare.
[Panorama]