Sarà anche banale, ma la madeleine esiste, per tutti.
La mia ha il sapore di fiori di zucca fritti nelle due varianti, che corrispondono alle due filosofie di vita delle mie nonne: nonna Elide, alta bionda magra e purista, fiore di zucca fritto in pastella leggera, croccante, non troppo scura, vuotato del pistillo; nonna Maria, con un eufemismo la definirò mediterranea, estrosa e inconsapevolmente esotica: fiore di zucca ripieno di ricotta con piccolissima alice al centro.
Con l’età il palato cambia, e si arrivano ad apprezzare specialità che mai (mai) nella vita si sarebbe creduto. Per esempio: io sapevo cos’era il lampredotto, ben prima di assaggiare l’unico e inimitabile panino di Nerbone, al Mercato di San Lorenzo.
Io e il lampredotto ci siamo girati attorno per un po’, annusandoci, letteralmente. E ricordo ancora il giorno in cui, per esigenze di sopravvivenza, chinai il capo all’abomaso stracotto.
Mi ci portò il fidanzato dell’epoca, era un ricatto bello e buono, tanto più potente quanto implicito: non amare il lampredotto avrebbe significato nell’ordine disastro, cataclisma, distanza incolmabile, incapacità di capirlo amarlo e accudirlo per la vita.
Ora, le tre cose sopra elencate non le ho sapute fare per cause di forza maggiore (siamo durati tre mesi) però da allora in poi un pezzetto di cuore è rimasto al Gran Ducato, finché morte non ci separi.
Ed ecco, viene il tempo dei grandi ritorni. “Scappi” di casa a 18 anni per fare la studentessafuorisedesquattrinata, odi il tuo accento così immediatamente identificabile, fai di tutto per mimetizzarti con l’ambiente circostante. Poi un giorno TORNI A CASA.
Fai pace col mondo che ti ha generato, cui appartieni che tu te ne renda conto o meno. Un mondo fatto di piccola imprenditoria, nebbia e lui: il baccalà.
Scopri che c’è una confraternita a Sandrigo, fondata da una banda di signori rispettabilissimi che battezzano con uno stoccafisso gigante i puri di cuore ammessi alla Venerabile Confraternità del Bacalà alla Vicentina.
Io amavo visceralmente quello della Antica Trattoria Due Spade, che però da qualche tempo è stata esclusa dalla confraternita, con grande ignominia immaginerete.
Infine, la trasferta. Grazie ad un’amica cara lo scorso Natale ho visitato l’alto Molise. Terra selvatica e di una bellezza struggente, in cui l’attaccamento alle proprie tradizioni gastronomiche è talmente forte che lo si respira in ogni casa, in ogni famiglia.
Da qui, ho “scavallato” in Abruzzo e ho mangiato da Niko Romito, nel suo Reale Casadonna.
Era inverno, appunto, e nella sala arredata con quella semplicità e raffinatezza che caratterizzano tutta la struttura di Castel di Sangro filtrava una luce lattea, bianchissima. Il contrasto con l’ippocastano centenario, spoglio e scuro, che si ammira dalla vetrata della sala aveva qualcosa di irreale e onirico.
Poi sono arrivati i torcinelli di agnello con broccoli e mosto. Dalla poesia onirica a quella reale in un piatto.
Mettiamoci alla prova. Quali sono i “piatti boa” della vostra vita? Dove, quando, con chi eravate quando avete assaggiato qualcosa di cui ricordate ancora precisamente sapore e consistenza?