Benvenuti nel megastore del gusto più famoso d’Italia, sede romana (altre propaggini a Torino, Milano, New York…). Dove nel fine-settimana abbiamo inviato due editor: se il primo è entusiasta di Eataly, i rapporti dell’altro con il gigante di Oscar Farinetti sono quel che la modernità definisce: “relazione complicata”. Ne è uscita una guida alla spesa: 10 cose da comprare e 10 poco consone a quel luogo d’elezione.
1. La friggitoria di Pasquale Torrente.
Il Convento di Cetara (Salerno) resta uno dei miei luoghi del cuore, forse il ristorante dal rapporto prezzo/felicità migliore d’Italia. Baciato da una materia prima che canta e da una mano felice nell’interpretarla. Qui manca la poesia dell’ambiente, ma col cibo ci siamo, e se vi concentrate sulle alici fritte riuscirete ad afferrare un sublimato di quell’angolo di Paradiso. Frittura impeccabile, parola di chi è stato tirato su a pesce fritto nella sua infanzia sambenedettese.
1. Mozzarella di Caserta Roberto Battaglia appena fatta.
La consistenza e’ invitante ma in bocca la faccenda cambia. Com’e’ possibile? Ormai in qualsiasi supermercato si trova al banco dei salumi una mozzarella di bufala decente. Mica stiamo ancora alla Santa [inserire nome di santa a caso] da 125 gr. Vado da Eataly, dove mi producono una mozzarella fresca sotto al naso per ritrovare un prodotto mediocre, eccessivamente compatto e che quando lo assaggio non mi fa vedere le stelline?
2. Le piadine.
Forse il punto di somministrazione che registra il consenso più unanime, sarà che le piade non sono così diffuse nella Capitale ma la preparazione è da manuale, e la qualità degli ingredienti ineccepibile. Le riserve maggiori sono sull’estetica del casotto, ma ce ne preoccuperemo il giorno in cui gli umani si nutriranno di estetiche di casotti, e non di piadine, senza contare che la tradizione vorrebbe il chiosco proprio così, con quegli irritanti colori sociali.
2. Banco della pasta fresca.
Fettuccine: Troppo spesse, lisce e lucide come palle di biliardo, il condimento nemmeno le sporca. Scordatevi la sfoglia emiliana con un rosso d’uovo ogni 100 gr. di farina. A parte il prezzo, perdono il match con Sfogliagrezza di Giovanni Rana. Ravioli del plin. No comment, ai confini della realtà. Non mi risulta che la ricetta originale preveda crusca nel ripieno. Di quello sapevano.
3. Il pane.
Vero, Roma è città di grandi forni e i Castelli offrono esempi straordinari dell’arte della panificazione, ma qui dentro è impossibile beccare la sòla. Del resto le farine (Mulino Marino, con i sacchi in bella vista) fanno la differenza come in nessun’altra categoria merceologica.
3. Trippa della Granda in barattolo, acquistata in scaffale (foto).
Premetto che preferisco le trippe alla romana preparate con la mentuccia perché le trovo più fresche. Questa trippa è trattata e cotta come un ragù, con una quantità eccessiva di battuto di sedano, carota e cipolla. Pesantissima. Troppo olio e uno strano sapore di conservante (spezie? boh!) con cui mi sono imparentata mio malgrado e mi ritroverò certamente nell’asse ereditario. Un barattolo fa una porzione abbondante. A 11.80 euro non è proprio a buon mercato.
4. Il riso di Carlo Zaccaria.
Lontani sono i giorni in cui dovevo farmi un fondello come un secchio per reperire quello che per me è il miglior riso sulla piazza, ora bastano pochi chilometri. Se per quanto riguarda il Carnaroli è in effetti questione di gusti, e l’Acquerello lo trovate sullo stesso scaffale, sul Vialone nano non ce n’è per nessuno. Lì di fianco, tra l’altro, trovate anche i preparati per risotto di Cascina Belvedere. Mentirei dicendovi che la mia anima gourmet non è mai stata sfiorata da simili zozzerie, ma mentirei ancor di più se dicessi che non ne escono risotti dignitosissimi.
4. Ristorante della carne.
Tagliata di manzo della Granda alla piastra. Carne buona in origine ma fredda all’interno e carbonizzata fuori. Sapeva di piastra non perfettamente pulita. Servita con patate arrosto impresentabili, non so se marca Pirelli o Montedison…una questione di polimeri, macromolecole. Costante nei piatti e’ un trionfo di insalatina mista tipo bonduelle ma piu’ brutta. La presentazione delle pietanze e’ uno degli aspetti peggiori da Eataly.
5. La carne de La Granda.
Ho sentito diverse critiche che mi hanno spiazzato. Perché davvero, se non è buona la carne de La Granda allora cerchiamo i capi di razze sull’orlo dell’estinzione, lasciamoli allo stato brado in pascoli biodinamici d’alta quota –almeno 10 ettari per capo– dopodiché convinceteli a immolarsi per la causa dell’alimentazione umana (come nella Guida Galattica per gli Autostoppisti) dopo essere stati massaggiati per sette giorni e sette notti da geishe sensuali ma vergini. Oppure diventate vegetariani che fate prima.
5. Piatti trattoria L’Oste della Bon’ora di Grottaferrata: Tonnarelli all’amatriciana.
(prego osservare i prezzi cui va aggiunto un euro a persona per il servizio che consiste solo nel portarvi i piatti a tavola e in tempi diversi, mai insieme. Fila alla cassa per l’ordinazione e il conto che si paga anticipato). Dubbia scelta quella dei tonnarelli, poco adatti a questo sugo, tradizionalmente utilizzato su spaghetti o con la variante bucatini, mezze maniche o bombolotti. Fondo di acqua di cottura nel piatto e guanciale stufato, anzichè soffritto e, peraltro, vagamente irrancidito. Forse non pulito bene cioè non privato dalle parti gialle del suo grasso. Eppure L’Oste della Bon’ora è tra le migliori osterie di Roma e dintorni. Euro 14.
6. I cantucci al cioccolato de La Molina.
So che la cioccolateria in questione vanta diversi detrattori, che in genere non hanno altro dio all’infuori di Slitti e Castagna, ma questo prodotto è il mio personale guilty pleasure, un fine pasto di golosità e persistenza piuttosto imbarazzanti. E occhio a non finirvi il cubo da soli, ha più calorie del fabbisogno quotidiano di un uomo adulto.
6. Piatti trattoria L’Oste della Bon’ora di Grottaferrata: Fettuccine al ragù bianco di vitello.
Fettuccine fresche troppo spesse e cafone, slegate, praticamente in brodo per acqua di cottura nel piatto. La pasta non era vestita. Cipolla, carota, spezie e aromi vari ab abundantiam. Euro 15.
7. L’oleoteca.
Forse la più fornita in città, anche se Eat’s a Milano, che vanta la più impressionante selezione di extravergine italico che abbia mai visto, gioca un altro sport. La mia selezione: Antichi Uliveti del Prato dei Fratelli Pinna a 6,95 Euro (latta da 0,25 l) ; la Coratina (fruttato intenso) di Marcinase a 11,20 Euro (bottiglia da 0,5 l) e il Riviera di Levante DOP di Lucchi e Guastalli a 13,80 Euro (bottiglia da 0,75 l).
7. Piatti trattoria L’Oste della Bon’ora di Grottaferrata: Gaffo Veronelli, ovvero guancia di vitello in bianco al prezzemolo.
A me pareva un pezzo di carne da bollito, quella con cui faccio il brodo e che una volta fatto il suo dovere, si tuffa da sola nella ciotola del cane. Carne filacciosa, abbastanza grassa e poco cotta. Euro 16.
8. I percebes (crostacei che vivono tra Spagna e Marocco).
Se li trovate da un’altra parte a Roma fatemi un fischio. Di fianco, ora che è stagione, ci sono anche un po’ di ostrichette niente male.
8. Piatti trattoria L’Oste della Bon’ora di Grottaferrata: Bollito alla picchiapò.
Cubi di carne dura, insapore e apparentemente bollita in un sugo lento, annacquato e con troppa cipolla.
9. L’enoteca.
Nella selezione “Triple A” c’è una sfilza di numi tutelari del vino naturale a ricarichi onesti, ma è mettendosi a ravanare in Piemonte che si trova il tesoro. Non mi farei sfuggire il Barbaresco Currà 2001 (!) di Sottimano a 35,80 Euro, il Roero Monpissano 2008 di Cascina Ca’ Rossa – anno dopo anno, sovente per distacco, il miglior vino della sua denominazione – a 16,80 Euro e soprattutto un vino che è stupefacente trovare qui, essendo assimilabile a un segreto ben tenuto con l’aggravante della produzione in quantità omeopatiche. Sto parlando del Dogliani 2008 Pirochetta Vecchie Vigne 2008 di Cascina Corte. Fatelo vostro.
9. Cannolo siciliano di Luca Montersino.
Se c’e’ un dolce ripieno che si stanca di stare in vetrina, quello e’ il cannolo siciliano: va riempito al momento, porca paletta!
Ricordo un tempo, quando assaggiai i cilindri della mia prima Renault 4… Erano più friabili. Cannolo durissimo, sembrava cartongesso con un ripieno di ricotta pesantissimo, un macigno. Euro 3,50 l’uno.
10. Jamon iberico de Bellota di Carrasco.
Il secondo miglior prosciutto di Spagna dietro “Sua Maestà” (©Roscioli) Joselito. La qualità si paga, ma almeno si porta a casa con comodità, e in formati per tutte (o quasi) le tasche.
10. Biscotti integrali Gentilini, ricetta esclusiva per Eataly.
Sono pieni di burro, un bruciore di stomaco tremendo. Tornerò ai Misura del supermercato. Sono più buoni. Non così grassi, nemmeno tanto dolci, hanno meno calorie e non costano una tombola.
[Crediti | Immagini: Zeno Colantoni per il New York Times, Fabio Cagnetti, Cristiana Lauro]