Stabiliamo subito una cosa: parlare di cervelli in fuga è fuori luogo, altrimenti i turchi dovrebbero appiccicare la definizione a milioni di connazionali che aprono kebabberie nel mondo. Anche se in questa storia il cervello c’entra. Non per niente, si dice che quello dei romagnoli sia direttamente proporzionale allo spessore della piada che preparano. Sempre mutevole, ovviamente, di chilometro in chilometro.
Ma sento che sto infilandomi, con le mie stesse mani, in un ginepraio inestricabile, sennonché la smetto subito.
Per parlarvi di chi ha affidato il proprio destino a “quel progetto di esportare la piadina romagnola” (cit.). Se sfogliata come al confine tra Emilia Romagna e Marche, erta come a Cesena o più sottile come verso Rimini, lo scopriremo a breve.
Andrea Tagliazucchi è un quarantenne modenese arrivato otto anni fa a New York, dove, ha aperto Piada NYC, complici due amici: Giovanni Attilio e Daniele Buraschi. Vi prego, non fatevi condizionare dalla combo inedita Modena/piadina e continuate a leggere.
Che coraggio, una piadineria a New York. Ma l’idea, in apparenza stravagante, si basa su una constatazione semplice quanto oggettiva: tra i mille cibi di New York (sono pure di più ma non si resiste alla tentazione di una semicit.) nessuna traccia della piadina.
Chiamateli improvvisatori, bislacchi oppure veri pionieri, i tre, steso un business plan da mulinare (ops!) tra amici, ex colleghi e parenti, racimolano 100mila dollari e decidono di portarcela loro la piadina a New York.
Nel 2005, ottenuto il visto da investitori e fornite le necessarie garanzie economiche, la prova che non avrebbero pesato sulle tasche del contribuente americano, aprono Piada NYC, in zona Lower East Side. Perché, dicono i tre modenesi, a New York conta centrare il crowd, qualunque cosa questa parola significhi (in realtà indica il tipo di persone che gravitano attorno un’area).
“I primi tempi sono stati difficili, dovevamo far conoscere un prodotto completamente nuovo e farlo apprezzare, ma alla lunga la piadina è piaciuta e insomma, sì, è stato un successo”.
Nel 2009 arriva un altro locale, al 601 Lexington Avenue, incrocio con la 53ma strada.
Nel 2010 vendono il primo locale, non per la crisi, nella metropoli americana la ristorazione tiene, ma hanno bisogno di strutturarsi in modo meno improvvisato. Introducono altri prodotti italiani nel menu e mirano a diventare una catena.
Comunque una storia di successo, aiutata dalla circostanza, piuttosto insolita a New York, di essere rimasti una specie di monopolisti della piadina.
Alla fine, viene da dire, c’è qualche speranza per questo Paese. Perché persino tipi pratici e urbani come i newyorkesi non resistono alle meraviglie della nostra cucina regionale, rivisitate ma anche no. Perché la cucina suddetta, nei migliori casi, resta irresistibile.
Allora fuori la verità: avete mai sognato di esportare maestosi piatti regionali più o meno di rinomanza slow foodista? C’è stato un momento della vostra esistenza in cui accarezzavate l’utopia di aprire non so, una cicheteria veneziana, una pizzeria napoletana, un chiosco per il gnocco fritto, i supplì al telefono romani o le arancine siciliane? O anche la piadina: eravate davvero pronti a poggiare il vostro progetto di vita su strutto e farina?
[Crediti: Il Fatto Quotidiano, immagini: Flickr/Alessandra Scollo]