Il foodporn nei ristoranti stellati di un certo livello va contro l’etichetta. Chiamatelo foodporn, chiamatelo foodstagrammania, chiamateli selfie con il cibo. Nelle bettole si può, ma nei posti chic non si fa.
Così almeno è in Francia, dove Gilles Goujon, tre stelle Michelin per L’Auberge du vieux puits a Fontjoncouse sostiene che fotografare e diffondere le foto dei suoi piatti non solo toglie la sorpresa, “ma è anche un un po’ lesivo della proprietà intellettuale dei miei piatti: rischio di essere copiato”.
Alexandre Gauthier chef a la Grenouillère, ristorante a La Madelaine-sous-Montreuil pone la questione su di un piano etico, e appende un cartello di divieto dell’uso del cellulare: “non è che vietiamo i cellulari qui al ristorante, ma vorrei che la gente si sconnettesse un attimo: si mette un like, si twitta, si commenta, si riponde.
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E il piatto si fredda”.
Non succede solo in Francia, ma anche negli Stati Uniti, così come riportava il New York Times qualche tempo fa: più il ristorante è ricercato, più c’è il rischio che il telefono sia vietato.
E’ questo il racconto di una foodblogger che è andata al Momofuku Ko, a New York, col desiderio di fotografare il famoso foie (fegato) preparato dallo chef David Chang. E niente, appena tirato fuori il cellulare è stata linciata dal manager del locale: “prego, se lo rimetta in tasca”. Anche Moe Issa, proprietario al Chef’s Table di Brooklyn Far ha vietato l’utilizzo del cellulare “sembravano tutti più concentrati sulla foto che sul cibo”.
Gli chef italiani non sono contrari alla foto dei loro piatti, ma sono spesso contrari al cellulare a tavola, come normalmente lo è chi considera la buona tavola un piacere.
Per Andrea Berton “sarebbero altri i modi di disciplinare la proprietà intellettuale. Probabilmente biognerebbe potere depositare l’idea.
Quanto alle foto, non le non vieterei, ma il buon senso dovrebbe prevalere: le foto dovrebbero essere scattate con dei criteri, non a piatto iniziato”.
Alessandro Negrini de Il luogo di Aimo e Nadia non critica le foto al ristorante, anzi: “Noi facciamo fare qualsiasi tipo di foto. Capisco il pensiero degli chef che non vogliono: spesso circolano delle foto fatte male, col telefonino. Soprattutto per un ristorante come il nostro che punta moltissimo sull’emozione del gusto, più che all’immagine dei piatti.
Ma se si è sicuri del proprio lavoro non è certo una foto scattata male a invalidarlo: e poi la diffusione su Instagram è tutta promozione per il ristorante. Un po’ mi rattrista vedere le coppie che usano i social network a tavola, il momento della tavola non è per stare al cellulare”.
Anche Luca Lacalamita, patissier dell’Enoteca Pinchiorri si dimostra tollerante: “durante la cena è a discrezione del cliente. Volere immortalare un piatto è comprensibile se vai in un ristorante stellato, che non è per tutte le tasche. E i social network aiutano a promuovere l’immagine.
Certo se si è un giornalista o un blogger il discorso è diverso: le foto devono essere di una certa qualità, migliore rispetto a quella dell’iphone. Credo che per un cliente che viene a cena sia una sorta di divertimento.”
E darebbe ragione allo chef francese Gille Goujon quando parla di proprietà intellettuale dei piatti in pericolo?
“Affatto: ormai è tutto un copia copia generale. La proprietà intellettuale è l’idea del piatto, e non viene di certo rubata con una foto che mi sembra più un vezzo estetico. In Francia sono un po’ attaccati alla loro tradizione, e quindi si sentono facilmente derubati”.
Norbert Niederkofler, chef del St. Hubertus in Alta Badia, sostiene che gli italiani siano ancora più fissati delle altre nazionalità coi telefonini a tavola, ma peggio sarebbero i sudamericani: “Impossibile farne a meno. Ormai è un problema di tutti. Il problema della condivisione delle foto sui social è che qualità delle foto non rispecchia il lavoro degli chef.
Però è innegabilmente promozione per il ristorante.”
[Crediti | Link: BBC, Francetvinfo, Dissapore | Immagini: Fine Dining Lovers, Giovanni Albore, The Times]