Chi non conosce Fool Magazine, beh, dovrebbe. Punto. È una lettura imperdibile: sintesi ragguardevole tra stile indie e raffinato (fighetto o cool se preferite, ma se una cosa è bella certe etichette sminuiscono) che con soli tre numeri alle spalle sta già passando dallo status di “rivista” a quello di “Bibbia”.
Ora, la cosa di non poco conto è che il numero in uscita parla dell’Italia gastronomica. E dell’Italia come immagine, cartolina. Mood. Lo fa inquadrandola in una cornice “felliniana”. Ma soprattutto parla di Massimo Bottura (ovviamente!) e di altri importanti chef. Racconta la nostra cucina e il nostro inossidabile appeal.
[related_posts]
È un omaggio al Belpaese, insomma. Ma che farà discutere.
Cosa ne sappiamo? Tranquilli non stiamo parlando di qualcosa che non abbiamo letto, postulando conclusioni improvvisate: ci riferiamo alla lunga intervista che il sito americano Eater ha fatto al caporedattore e art director Lotta Jörgensen e a suo marito Per-Anders, redattore e fotografo.
Chiacchierata fluviale dalla quale emerge, sopra ogni altra cosa, che l’obiettivo del numero è rielaborare i nostri cliché. Ma, attenzione, con consapevolezza, perché quelli di Fool non sono degli sprovveduti. Però i cliché restano e leggere può anche infastidire. Tanto che gli autori già mettono le mani avanti, preoccupati dalle nostre reazioni.
Addentriamoci.
“Perché proprio l’Italia?
Perché la sua economia è ora in declino e ha bisogno di risollevarsi. […] Perché il cibo italiano non passa mai di moda […] e perché non ha mai smesso di essere uno dei pilastri della gastronomia nel mondo. Ma soprattutto perché chiunque sa cosa sia il “cibo italiano”, ma in pochi lo conoscono davvero. Ecco perché abbiamo voluto dargli un’altra dimensione”
Diciamo che il primo punto cammina pericolosamente sul confine tra filantropismo e lieve arroganza. Ringraziamo comunque per il tentativo di aiuto alla nostra (disastrosa) condizione economica. Per fortuna che qualcuno ci pensa.
Sul resto qualcuno dirà che siamo alla solita barzelletta di non saperci autovalorizzare e sono gli altri a doverci pensare. Ma in fondo è così: l’Italia è attualmente un colosso gastronomico più nell’immaginario che nella sostanza.
Ma veniamo a una delle parti più interessanti del numero (e dell’intervista): lo shooting fotografico che ha visto come protagonisti Massimo Bottura e il suo team dell’Osteria Francescana. Nelle vesti dei personaggi di 8 1/2! Un’ambientazione degna del capolavoro di Federico Fellini, perché:
“8 1/2 è un film sognante e Massimo è un artista che bada molto al sogno e alle emozioni”.
Bravo Bottura, che nell’ultimo lustro abbondante è riuscito a catalizzare l’attenzione su di se come rappresentante migliore del Made in Italy gastronomico. Per il resto l’omaggio ci piace e ci ricorda un po’ anche quello di Anthony Bourdain nella puntata di No reservation dedicata a Roma. Resta il dubbio sul fatto che sia un vero atto di riverenza nei nostri confronti, appositamente studiato e ponderato, o non invece il solito racconto cartolinesco del nostro paese.
D’altronde i due redattori di Fool, come premesso, sono consapevoli del lato polemico del popolo italiano:
“Gli italiani hanno la cattiva abitudine di lamentarsi di tutto. E se c’è qualcosa di cui si lamenteranno, sarà sicuramente questo numero della rivista. Diranno Io qui non ci sono, non c’è la mia Regione, non c’è il mio ristorante […] Scegliere chi omettere e chi includere può davvero essere pericoloso quando si tratta dell’Italia”.
Diciamo che come atto di cautela preventiva nasconde un atteggiamento un po’ polemico. Però, suvvia, ammettiamolo, è una paura fondata la loro. Non è così facile avere a che fare con gli italiani quando si tratta di cibo. Non è facile per un romano parlare di pizza, figurarsi per uno straniero raccontare la nostra cucina.
La rivista poi affonda i denti anche su un altro tema, importante e poco discusso: quello dei giovani chef italiani che, dopo anni di esperienza all’estero, decidono di rimanere fuori dal Paese e iniziare la propria attività all’estero. Insomma la maledetta fuga dei cervelli!
“Giovanni Passerini di Rino, Agata Felluga, che era a Chateaubriand, Simone Tondo, che ha lavorato con Peter Nilsson e ha poi aperto un posto tutto suo. Normalmente, avrebbero viaggiato e poi sarebbero tornati in Italia per aprire i propri ristoranti. Nessuno di loro lo fa. Gli abbiamo parlato, allora, per capire cosa stia succedendo: a causa dei problemi economici è difficile ottenere prestiti, bisogna essere ricchi per avviare una propria attività”.
E quindi vanno all’estero. Una diaspora vera e propria, non solo verso gli altri paesi europei, ma anche spingendosi più lontano, arrivando magari negli USA e, recentemente, nel Sud America. San Paolo, per la precisione. Come cambia la geografia delle opportunità!
Simboli di questa “emigrazione con annesso successo” sono Christian Puglisi e Carlo Mirarchi, chef italiani il cui lavoro si svolge però lontano dall’Italia, a cui Fool dedica pagine molto approfondite.
Belle le loro storie. Belle perché non sono storie di stelle Michelin, di premi, di celebrità. Sono storie di persone che dedicano la propria vita alla cucina. Come quella di Niko Romito, che prima di essere un nome è “uno straordinario chef, in grado di fare cose strepitose”.
E poi ci sono i racconti sul caffè italiano, sulla pasta fredda, sulla cucina della nonna, sulla pizza. Come dire: ci sarà da sbizzarrirsi. Prima di azzuffarsi.
[Crediti | Link: Fool Magazine, Eater | Immagini: Eater]