Fatto a Londra: oltre il chilometro zero

Fatto a Londra: oltre il chilometro zero

Oggi, per il debutto della serie che Dissapore dedica a Londra scrutiamo la micro-produzione urbana superando di slancio il chilometro zero. Da assiduo di mercati e mercatini alimentari che vivacizzano il fine settimana, non ho potuto  fare a meno di notare i prodotti a marchio “Made in London”, sempre più numerosi. Uno per tutti: la birra. L’aumento dei micro-birrifici indipendenti è stato esponenziale tanto da rendere necessario una sorta di consorzio per tutelare e promuovere le attività dei soci.

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Non solo birra ovviamente, anche confetture, vino, sottaceti e distillati: sembra non esserci limite all’intraprendenza dei giovani produttori londinesi. Venite, andiamo a scoprire insieme i più meritevoli, stravaganze comprese.


LONDON HONEY CO.


Steve BenbowLondon honey shoplondon honey shop

Alla maggior parte di noi l‘idea di avere uno sciame d’api che scorrazza nel balcone può sembrare bizzarra. Non così per Steve Benbow: fondatore di London Honey Co. e ormai il più famoso apicoltore urbano d’Inghilterra. Steve ha piazzato le sue arnie in giro per la città praticamente ovunque: dai tetti della Tate Modern a quelli di Fortnum and Mason, dove chi vuole può seguire la produzione del miele in diretta grazie a due webcam fissate sulle arnie.

La London Honey Co. organizza seminari, workshop e corsi introduttivi al mondo dell’apicoltura urbana, promuove la difesa del delicato habitat che la produzione di miele richiede ed è alla continua ricerca di siti per sistemare nuove arnie. Lavoro ancora più meritevole visto il declino della popolazione d’insetti che ha colpito l’Inghilterra negli ultimi anni, costringendo il governo inglese a promuovere nuovi studi per comprendere il fenomeno.

Nel piccolo negozio di Terminius Spa trovo di tutto, da un’infinita serie di mieli alle candele, sino ai lucidalabbra. Compro un piccolo vasetto di miele che, a £4 per 80 grammi, non vince il premio qualità/prezzo, ma come mi viene assicurato possiede “un sapore unico grazie all’incredibile varietà di foraggio a disposizione delle api”. In particolare, il raccolto estivo è delicato con sentori di castagno e tiglio, gli alberi caratteristici dei parchi di Londra”. La prova d’assaggio è notevole, superata a pieni voti.


KAPPAKASEIN


kappacasein cheeseKappacasein shop kappacasein taste

Trovandomi nei pressi vado da Kappacasein, uno dei primi caseifici a produzione rigorosamente londinese. Dopo essere diventato popolare tra turisti e locali con gli irresistibili panini al formaggio fuso venduti per 10 anni nel vicino Borough Market, Bill Oglethorpe ha deciso di accorciare la catena di produzione realizzando formaggi in prima persona.

Con il latte biologico proveniente dal vicino Kent e per mezzo di un gigantesco paiolo di rame da 300l arrivato appositamente dalla Svizzera, ogni settimana Kappacasein produce una varietà di prodotti caseari degna di nota nel piccolo laboratorio ricavato sotto un ponte ferroviario: non solo cheddar e ricotta, anche burro, yogurt e reblochon. In pochi minuti familiarizzo con i ragazzi dietro al bancone che m’invitano a scoprire come nascono i loro formaggi la settimana successiva.

È così che scopro il progetto “Community Support Dairy”: attraverso un piccolo contributo mensile posso diventare micro-azionista del caseificio contribuendo all’acquisto di nuovi macchinari per espandere la produzione, ricevendo in cambio un pacchetto settimanale di prodotti caseari. Mi porto a casa una bella fetta di Bermondsey Hard Pressed  a £28/chilo. Nemmeno questo è propriamente economico ma vengo ripagato dal sapore lungo e intenso che ricorda le nostre tome alpine.


COBBLE LANE CURED MEAT


cobble lane cured meat, piccocobble lane hamI prodotti di Picco

Con l’orario del pranzo che si avvicina, mi chiedo come s’accompagnerebbe una bella fetta di lardo insieme a formaggio e miele già messi in saccoccia. Non ho un modo per scoprirlo: fare visita a Cobble Lane Cured Meat, il solo rivenditore di salumi realizzati esclusivamente in città. Matt mi accoglie con un gran sorriso nel laboratorio-salumificio a due passi dalla centralissima Angel: “Niente lardo mi spiace, non siamo riusciti a trovare maiali col giusto tipo di grasso, prova questa finocchiona e dimmi cosa ne pensi”.

Da poco più di sei mesi insieme ad altri tre soci Matt ha rilevato un salumificio che prima gestiva una famiglia italiana, Picco Salumi, rispondendo con una bella offerta alla domanda in rapida espansione. “E’ venuto Jamie Oliver a trovarci settimana scorsa ed è rimasto folgorato”, continua Matt, “Ora stiamo aspettando Tom Kerridge” –proprietario del primo pub a conquistare una stella Michelin– “Tutti vogliono mettere i salumi sul menu ma non sanno come farli, per cui vengono qui a imparare”.

Entro nella camera di stagionatura dove assaggio in rapida successione bresaola, soppressata, salame ai semi di sedano e guanciale, il fiore all’occhiello della casa che avevo già assaggiato a The Dairy, una delle migliori nuove aperture londinesi del 2013. Matt intravede il mio sguardo famelico concentrato su una serie di prosciutti appesi a stagionare: “Per quelli ci vediamo a Marzo!”.


LONDON CRU


London CruLondon Cru

Come ultima tappa decido di far visita a London Cru, la prima cantina londinese con sede nel piccolo seminterrato che un tempo era una distilleria vicino a Earls Court. Il 2013 è stata la prima annata, ci si aspetta una produzione di circa 15,000 bottiglie. Lo spazio è piccolo ma riesce a ospitare 10 serbatoi di acciaio inox, diverse botti in rovere e un lungo nastro mobile per il trattamento del’uva.

Per quanto sia affascinato dall’idea di pasteggiare a vino londinese, il fatto che alcune tonnellate di uve viaggino in camion frigoriferi per più di 1.000 km non risponde al concetto di microproduzione che ho in mente, minando il legame territorio-prodotto mai così importante come per il vino.

Faccio presenti i miei pensieri marcando il forte accento italiano a Gavin Monery, enologo australiano responsabile della cantina, intento a processare 4 tonnellate di barbera appena arrivate. “Tratto le uve che mi arrivano con grande rispetto e le vinifico tutte individualmente”, mi spiega, “Inoltre voglio che questo posto diventi un centro educativo, organizziamo eventi e seminari per riavvicinare la gente al mondo del vino e alla sua produzione. Come per la carne si è arrivati a una distanza profonda tra produzione e consumo che ha impoverito la qualità del prodotto”.

Le parole di Gavin mi colpiscono, come pure l’immagine romantico-bucolica che ho di una cantina, vista la musica sparata a tutto volume dagli altoparlanti: un’incessante Lady Gaga. Me ne vado pensieroso e con le pive nel sacco, specie perché di vino da assaggiare se ne parla a metà 2014.

Approfitto della lunga pedalata verso casa per ripensare alle parole di Gavin e mettere in fila gli incontri della giornata. Tutti i produttori incontrati hanno un forte legame con il tessuto urbano: organizzano seminari, incontri, workshop o semplicemente lasciano le loro porte aperte a visitatori di passaggio come me. In questa maniera svolgono, come hanno fatto con fortune alterne l’agricoltura biologica e il chilometro zero, un ruolo educativo nei confronti di noi consumatori, facendoci conoscere i processi produttivi alla base dei cibi che mangiamo.

La filiera, in questo caso, è corta più nella mente che nello spazio.

[Crediti | Immagini: Stefano Dell’Aringa, Theepochtimes]