Ill.mo Sig. Farinetti, forse leggerà chi Le scrive questa lettera aperta, e la cestinerà senza procedere di una sola riga – ma spero di no: vengo in pace. Ho discusso a lungo di Lei e di Eataly, ne ho scritto, generalmente male e con toni a volte accesi – ma è servito, perché rendere manifeste le mie posizioni ha favorito dibattiti e dialoghi, nella mia sfera personale, che hanno portato me e altri a moderare i punti di vista – talvolta integralisti, lo riconosco – verso un diverso orientamento nei confronti della Sua attività imprenditoriale.
Piaccia o meno, Eataly è – come Lei dice, con giusto orgoglio – un portavoce (se non ‘il’ portavoce) di molte eccellenze gastronomiche italiane nel mondo. È un’attività aziendale fiorente e in pieno stato di salute, prossima alla quotazione in borsa, figlia di investimenti sempre crescenti: un’eccezione notevole nella desolante scena imprenditoriale italiana. Con il suo manipolo di punti vendita sparsi per lo Stivale, la Sua azienda può ormai essere considerata a pieno titolo un big player nel mercato del lavoro di casa nostra. Tremila e più dipendenti sono un piccolo paese.
Alla luce di queste considerazioni, ho seguito con una certa amarezza la diatriba sulle retribuzioni del personale di Eataly: dall’articolo comparso su Il Fatto Quotidiano, in cui si denunciavano – cito – “stipendi da fame” (definizione da cui dissento), alla Sua risposta presso le stesse pagine del quotidiano.
Adesso, io non sono d’accordo che 8€ (lordi) l’ora siano una retribuzione misera, considerando il resto del panorama nazionale e la pressione fiscale, né però posso dirmi d’accordo con Lei nel dichiarare che “grazie a Eataly, ci sono giovani che hanno messo su famiglia”.
8€ lordi l’ora non consentono di pagare un mutuo; né di comprare omogeneizzati (specie se buoni e puliti) o pannolini. Di pellicce, anelli per la signora e giocattoli, reliquie mnemonico-culturali di un’altra e più feconda era, è meglio non parlare.
Le retribuzioni di Eataly sono in linea con la rovinosa media nazionale, confermando per me ed i coetanei il ruolo scomodo che ci è stato attribuito dalla storia, quello di generazione milleeuro, di popolo precario.
Al proposito, qualche giorno fa è si è scritta una notizia che spero La possa ispirare: Shake Shack è una catena statunitense di hamburgerie che penso Lei conosca bene; ce n’è uno a Madison Square Park, due passi e 80 metri dalla porta di Eataly New York.
Il CEO dell’impresa (Randy Garutti, italoamericano) ha dichiarato che la paga base di un dipendente dello Shack è di 10$ netti l’ora: la somma, al cambio odierno, equivale ad appena 7,26€.
Guadagnano meno che da Eataly, potrà sembrare: ed è così in effetti se ci atteniamo ai bruti numeri – non altrettanto se mettiamo in luce alcune riflessioni, che di seguito Le espongo.
— Shake Shack non opera nell’alta gastronomia: pur se con un livello qualitativo notevolmente diverso, i concorrenti diretti nel settore merceologico – burgers take away – sono McDonald’s (7,8$ all’ora negli USA) e Burger King (7,64$/h);
— I dipendenti dello Shack, oltre alla paga oraria, dichiara Garutti, godono di un programma di revenue sharing a breve termine – si chiama Shack Bucks, giusto per essere funky – tramite cui l’azienda ridistribuisce al personale una percentuale dei dividendi mensili, facendo salire la retribuzione oraria a 10,7$ (7,76€);
— Il personale di Shake Shack gode di assistenza medica totale, inclusiva di assicurazione dentistica e oculistica, nonché di benefits in caso di eventuale disabilità: in un Paese come gli Stati Uniti, ove la copertura sanitaria è una questione spinosa oltre che costosissima, questo equivale a un incremento sulla paga oraria talmente notevole da essere difficilmente quantificabile.
È da ricordare, poi, che bisogna inscrivere la situazione di Shake Shack nella politica americana delle retribuzioni ristorative, che come sa possiamo riassumere in “stipendi bassi e tante mance”: il tipping, almeno per il personale di servizio, costituisce una voce notevolissima del bilancio mensile.
Shake Shack cura i propri dipendenti perché, dice Garutti, “Ci possiamo permettere di assumere personale altamente qualificato, che possiamo motivare, mantenere a lungo, e addestrare nel management. Ci sono anche dei lati positivi per la clientela: se la squadra sente che ti prendi cura di lei, andrà là fuori e si prenderà cura dei clienti”.
Questo è il mio invito: lo faccia anche Lei, Sig. Farinetti.
Per la Sua squadra e i Suoi clienti; lo faccia per la Sua azienda, che ne esca con un’immagine fulgida e per se stesso, per mettere a tacere le malelingue con l’evidenza.
Lo faccia per rinsaldare lo spirito di corpo tra i Suoi impiegati, e riscuotere il supporto di chi finora L’ha infangata.
Faccia un passo verso chi lavora per Lei per mietere consensi e incarnare il lato imprenditoriale di una politica coscienziosa e pratica, perché investendo cifre tutto sommato insignificanti a fronte del turnover annuale potrà cambiare la vita del villaggio dei dipendenti eatalyani (più di tremila abitanti).
Lo faccia poi perché questo cambiamento sarà un investimento, una notizia buona da avere sui giornali, quel tocco che potrà distanziarLa dalla concorrenza e dal triste quadro che è il nostro Paese – e a lungo andare, è il mio pensiero, saprà giovare anche ai bilanci.
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Lo faccia per coerenza con il “Giusto” in cui culmina il motto di Slow Food buonoeppulito, cui Lei s’ispira e che nei suoi centri usa: non si appiattisca sulla nostra condizione di Nazione di precari, sia Giusto più di tutti gli altri, ci rifletta e vedrà che esistono le condizioni per lavorare.
Scelga d’essere il pioniere dell’era di riforme che deve venire, per dare prima dei suoi concorrenti l’esempio buono che serve all’Italia per smettere di criticare, iniziare a fare. Inneschi un circolo virtuoso per cui La ringrazieremo.
Lo faccia perché ogni volta che l’hanno accusata di qualcosa, la Sua risposta è stata “Diteci come possiamo migliorare, e lo faremo”.
Cordialmente,
GP
[crediti | Link: Dissapore, ThinkProgress, Immagini: Dissapore, Millionaire, Eater, Chebello]