C’era un periodo della nostra vita in cui eravamo felici. Non dovevamo pensare a come arrivare alla fine del mese, né preoccuparci del traffico sul grande raccordo anulare. Non dovevamo stare attenti alla linea, non dovevamo constatare il lento ma inesorabile progresso delle nostre rughe. È stato quando eravamo dei bambini e facevamo merenda davanti alla tv.
Lo facevamo con la leggerezza dei nostri under20 chili. Senza sentire la coscienza attanagliarci a ogni morso.
Ma chi era costei? La merenda, regina incontrastata dei pomeriggi azzurri, irrinunciabile spezzatempo fra i compiti di matematica e quelli di geografia, o magico ricostituente da inframmezzare ai giochi di un pomeriggio vacanziero…
Nei nostri ricordi non esiste crisi. E la merenda resta l’apostrofo rosa fra le parole Bim bum bam.
Come in ogni cosa di un certo pregio, però, la merenda c’era chi non la sapeva fare. Forse perché si concedeva troppo spesso tegolini e girelle, più di rado il salubre “pane e…” – che in qualsiasi modo lo decliniate di sicuro faceva buon sangue.
Oppure, perché sono arrivati gli ammerigani a insozzarci anche la pausa delle quattro e mezza. Perché non tutti hanno saputo coltivare la sacrosanta differenza fra “snack” e “merenda”. E vai di Snickers al posto del pane con l’olio, donuts e brownies invece che pane e marmellata, muffins strabordanti di burro d’arachidi al posto della torta fatta dalla mamma. Ci siamo ingozzati di pubblicità irresistibili, e abbiamo provato a fare come i bimbi fighi alla tele (com’erano biondi! Trasudavano pulito, obbedienza e buone intenzioni).
Ecco i cuccioloni (10 morsi 10), le speedypizze e la falange di merendine – il diminutivo non doveva indurci a sospettare sulla loro pochezza nutritiva? – targate Mulino/Kinder.
Ovini, brioss, flauti, plum cake, camille, crostatine, saccottini (alcuni di questi campioni del marketing arrivano in realtà dagli anni 70, stupore). Erano i premi dopo lo sport, dopo il bel voto a scuola, le promesse fatte in un momento di liberalità consumistica da genitori integerrimi.
Per la serie si stava meglio quando si stava peggio, ci sono però, e ci sono sempre state, le merende buone, quelle da bambini slow, etici e geolocalizzati già alle elementari. Pasciuti con le sane merende regionali come la crescentina modenese con confettura di frutta, la fettunta toscana, pane con burro e acciughe, pane e pomodoro, pane vino e zucchero, le torte salate liguri, la bruschetta pugliese col pomodoro e l’olio d’oliva, il pastin del bellunese (carne macinata alle spezie), la fugassa veneta, o perfino la piemontese merenda “sinoira”, sorta di apericena dal nome più persuasivo, capace di dare la stura alla dispensa oltre ogni fantasia…
Lettori, a voi ora l’onere di schierarvi su una sponda o l’altra: da che parte state? Siete (stati) integralisti e dissaporiani della prima ora, da pane d’Altamura e olio d.o.p., o avete provato il brivido, malato e felice, della merendina industriale? E adesso? Scones e cupcakes?