Nulla ti riconcilia col mondo come il più semplice degli accostamenti: pane e olio. Se poi questa diade già di per sé perfetta prende la forma e il sapore (anzi i mille sapori possibili) della focaccia, be’ lì allora si diventa capaci di sopportare qualsiasi efferatezza del mondo esterno nei nostri confronti.
Perché lei, la focaccia, o la schiacciata, o la stiacciata, o la fugassa, o ancora la fitascetta (ecc. ecc.) regna sovrana fra i cibi che, a dispetto dei diktat modaioli e della crisi del mercato, restano saldamente in testa alla classifica del buon mangiare all’italiana. Non solo è l’esempio per eccellenza del cibo semplice, stradaiolo e genuino. Ma anche un ricettacolo di storia e tradizioni, con le mille declinazioni e i diversi ingredienti che arrichiscono il connubio pane+olio a seconda delle regioni, o perfino delle città.
Rispetto al cugino più rustico, l’arcinoto e pluripremiato pane con l’olio, la focaccia offre qualche dettaglio particolarmente sfizioso che fa la differenza. C’è chi la ama soffice e lievitata, chi croccante e erborinata, chi ucciderebbe per un angolo crostoso di schiacciata toscana, chi illanguidisce al solo pensiero delle lussuriosa untuosità della foccaccia di Recco.
A voi la scelta, e l’invito accoratissimo a segnalarne i mille mo(n)di possibili che non siano qui contemplati – non per nostra negligenza, ma per la sconfinata virtù del soggetto. E grazie al mensile Dove, che nel numero in edicola parla proprio di focaccia.
1. Focaccia genovese. Da queste parti la chiamano “fügassa”, e i veri amatori l’accompagnano al cappuccino oppure all’aperitivo. La genovese è talmente amata e preziosa da avere un Consorzio dedicato alla sua tutela. Friabile, lievitata alla perfezione e oliata con extravergine a filo, diventa una pietanza coi fiocchi quando l’impasto si arricchisce con salvia, cipolle o olive.
Al panificio Voglia di Pane (via Cavallotti 26-28r) la servono col sale grosso. Le Fornarine (via Rosselli 41-43r) sperimentano invece con farina di kamut e, d’estate, verdure di stagione.
2. Focaccia di Recco. Il formaggio fresco si scioglie appena fra due dischi di pasta di grano tenero. Sopra, solo qualche goccio d’olio e così sia. La focaccia di Recco non teme rivali nel resto d’Italia e resta unica nel suo genere.
Per gustarla doc basta fare un salto nelle trattorie di Recco, Camogli e Sori. O al panificio Moltedo, a Recco. O ancora nella focacceria Revello di Camogli.
3. Schiacciata Toscana. Alta e crostosa, con un cuore di mollica, come fosse pane “schiacciato”, per l’appunto. La versione classica ha il sale fino e l’olio extravergine, ma non mancano varianti come quella col sale in grani, ottima con una farcitura di crudo tagliato a velo o di finocchiona.
Per gustarla nella sua scontrosa grazia rurale andate dal Panaio di Mercatale, o al forno Giotto di Chiesanuova (entrambe località chiantigiane). Ma non manca in città: il forno Pugi (piazza San Marco, Firenze) ne offre versioni più o meno croccanti e sottili, per tutti i palati.
4. Focaccia barese. Qui l’impasto ottenuto dalla lavorazione di semola di grano duro rimacinata, acqua, lievito e sale si sposa con pomodorini, olive e origano.
Da provare quella di El Focacciaro (via Cognetti 43, Bari) e del panificio Santa Lucia (piazza Mercadante 7, Altamura).
5. Puccia salentina. Con olio e olive nere diventa “uliata”, assume invece il nome, tutto un programma, di “pizziongulu” se all’impasto base di semola di grano duro si aggiungono peperoncino e ortaggi, apoteosi del sudismo a tavola.
Ottima quella che si mangia da Caroppo (via Sant’Anna 48, Specchia Gallone – Lecce) e da La Puccia (viale Leopardi 36, Lecce).
6. Focaccia con cecina. Le sere versiliane non sarebbero la stessa cosa senza questo caposaldo dello street food toscano. La torta di farina di ceci (altrove detta farinata) è cotta nel forno a legna, comparsa di sale e pepe e servita in mezzo a una focaccia morbida. Forse l’unico modo per riconciliare Pisa e Livorno, ma è diffusa su tutto il litorale.
Provate quella del Montino (vicolo Monte 1, Pisa) e di Rizieri (via Battisti 35, Viareggio – Lucca).
7. Focaccia coi ciccioli. Quando si dice mangiare da contadini. Sì, ma al dì di festa. Il sacro motto secondo cui “del maiale non si butta niente” ha fatto scuola in tutte le regioni. Dal Polesine, regno della “pinza onta”, alla “chisöla” piacentina, fino alla “covazzedda” sarda. Era il pane della festa d’inverno, periodo sublime dell’ammazzamento suino, quando la farina s’impasta con strutto e ciccioli.
La felicità non guarda in faccia al colesterolo, provare per credere alla Trattoria al Ponte (via Bertolda 27, fraz. Bornio, Lusia di Rovigo – Rovigo).
8. Focaccia romana. La pizza bianca è un must della romanità, che sia in versione gourmet con fichi e crudo o sanamente burina, con la mortazza.
Purché fatta a regola d’arte, cioè bassa, soffice e lievitata almeno otto ore, come al panificio Bonci (via Trionfale 34, Roma), o da 00100 Pizza (via Branca 88, Roma).
9. Schiacciata (o stiacciata) con l’uva. Le vendemmie chiantigiane regalano, oltre al prodigioso nettare, questo prezioso frutto settembrino. Pasta di pane (sciapo!) ben lievitata, olio, zucchero e i tronfi chicchi del canaiolo. Lo stato di grazia si raggiunge però con noci e rosmarino soffritti, prima di impastare e infornare.
Fatevelo spiegare da Burde (via Pistoiese 6r, Firenze) oppure al forno Sarti (via Senese, loc. Due Strade, Firenze).
10. Focaccia di Susa. Dolce ma non troppo, morbida all’interno ma racchiusa da una confortante croccantezza. La fujasa è un’istituzione piemontese, e lo strato di zucchero caramellato l’avvicina con ironia alla crème brulée transalpina.
Ne sanno qualcosa al panificio Favro (corso Stati Uniti 118, Susa).
[Crediti | Dove, immagini: Lievitando, Broxolm Road, Cultura del frumento, Pizzamaking]