Croce e delizia di chi ama la cucina di mare. C’è chi non osa cucinarlo, perché immagina chissà quali insidie. Chi ogni tanto lo ha fatto, ma sudando sette camicie. Chi comunque preferisce ordinarlo solo al ristorante o in gastronomia. Chi infine, come me, lo cucina almeno una volta alla settimana e ha sfatato uno dopo l’altro i miti che ne circondano scelta e cottura. Ecco cosa non fare, e perché.
1. Non contare le ventose.
Sui tentacoli del polpo, quale che sia la sua dimensione, dalle gigantesche piovre ai piccoli polpetti, ci sono sempre 2 file di ventose. Se ce ne è una sola, vi stanno vendendo un moscardino o quella che, in alcune parti d’Italia, viene chiamata polpessa, in entrambi i casi un mollusco di qualità inferiore, meno saporito e meno tenero.
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A proposito di tenerezza, non demonizzate polpi congelati e decongelati: il freddo ha sulle fibre del mollusco lo stesso effetto della battitura, ovvero le spezza, rendendo le carni più morbide. Detto questo, ovvio che il fresco acquistato dal vostro pescivendolo di fiducia è imbattibile.
2. Cuocerlo in un pentolone d’acqua.
“O purp’ se coce dint’ all’acqua soje”, come direbbe Viviana Varese, che il polpo nella sua acqua lo ha in carta da sempre. Non serve tuffarlo in un silos di acqua bollente, né fare operazioni di magia come scottare tre volte i tentacoli o aggiungere il famigerato tappo sughero che, come è noto, era un espediente usato da “polpari” nei mercati, per “pescare” i molluschi cotti nei calderoni in cui sobbollivano. E mi direte: ma allora i polpari cuocevano in tanta acqua! Vero, ma avevano anche l’esigenza di tenere in caldo e di non far seccare all’aria la loro mercanzia, che immersa nel brodo di cottura appena fumante restava morbida e succosa.
Ricapitolando: basta mettere il polpo in un tegame su un filo d’olio, aglio e alloro invece dell’inutile tappo, niente sale. Se proprio volete, giusto un filino d’acqua che, insieme all’olio, eviterà alle ventose di attaccarsi al fondo del tegame a inizio cottura. Poi si copre con un coperchio, si porta su fuoco basso (meglio ancora con una retina spargifiamma) e si attende che la magia della lenta cottura faccia il suo dovere, regalandoci carni morbide e anche un brodetto molto saporito, perfetto da aggiungere a una zuppa o per cuocerci le patate.
3. Pensare che occorrano ore di cottura.
La soluzione è la pentola a pressione. Ecco gli step: filo d’olio, aromi, polpo, chiudere, fiamma vivace, sibilo, fiamma al minimo, 20 minuti, spegnere. Per polpi molto piccoli possono bastare 15 minuti, per quelli più grandi 25.
Alla fine, meglio non sfiatare la valvola e aprire la pentola, ma lasciarla chiusa finché la pressione interna non è calata naturalmente: durante questo periodo, il polpo cuocerà ancora un po’, si imberrà dei suoi succhi e le fibre si inteneriranno ulteriormente.
4. Eliminare pelle e ventose.
A me personalmente quei tentacoli denudati, bianchi e lisci come fossero bastoncini di surimi prima del bagno di colore, fanno ben più impressione delle veraci ventose e della pelle sottile e rossastra. Permesso, a mio avviso, solo eliminare le membrane molto scure fra un tentacolo e l’altro.
5. Cuocerlo direttamente sulla griglia.
Il polpo alla brace è delizioso. Perché perde la consistenza viscosa, diventa croccante e acquista quel saporino di fumo che piace sempre tanto. Inutile che vi dica che prima va lessato. Meglio però non posarlo direttamente sulla graticola: i tentacoli scapperebbero di sotto, rischiando di bruciarsi, e il calore sarebbe troppo violento.
Meglio una piastra in ghisa, posata sulla griglia del barbecue o, più semplicemente, sulla fiamma del fornello.
E voi, che trucchi avete per il polpo?
[Crediti | Link: Scatti di Gusto, immagini: Cibotondo.it]