“Mai nella storia tanto talento è stato messo al servizio di così turpi fini” (cit.).
Ieri, noi di Dissapore abbiamo fatto una riunione di redazione, quelle contegnose che facciamo solo per certi argomenti. L’argomento era: cosa bevete nei peggiori bar di Caracas? (contegnose?).
Con questa domanda intendendo: cosa chiedete quando siete fuori dalla vostra zona confort, quando sbirciando intorno convenite con voi stessi che “postaccio” è una definizione adeguata per ciò che vedete, compreso il mixologist (già barman) che avrà sì e no l’età per bere?
Più che un diario segue un romanzo d’appendice.
Ha rotto gli indugi Sara Mariani, breve, chiara, anzi esplicita: “Vado sul sicuro col gin tonic. Così, per non saper né leggere né scrivere. Certo può essere un gin demmerda. In tal caso birra in bottiglia.. o amaro: almeno dura poco”.
Ci siamo preoccupati per la parolaccia, ma alla fine abbiamo preferito lasciarla.
“Se finisco in un bar pessimo” — ha detto un bevitore serio, meglio, professionale come Fabio Cagnetti — “generalmente lo è per via dello staff incapace, ma si suppone ci sia almeno una bottiglia di gin passabile. In tal caso, ordino un gin tonic. Se mi si para davanti una selezione di alcolici del discount entro nel panico e/o esco dal locale; ove non applicabile, una birra e una prece”.
Milanese d’adozione soprattutto per il tic dell’aperitivo, anche Cristina Scateni ha risposto gin tonic. “Sbircio la marca di gin un attimo, giusto per capire cosa mi aspetta. Ne ho assaggiati di pessimi, ma non ne ho mai incontrato uno intollerabile”.
Con il suo famoso spirito di corpo Fabio Cagnetti ha commentato: “Ahò, proprio vero che great minds think alike, eh”.
Giovane, ma non abbastanza per non partecipare ai giochi dei grandi, nessuno escluso, Giorgia Cannarella ha risposto: “Una cosa che in un post (voleva dire “posto” ma è professionalmente deformata) come Dio comanda non ordinerei mai: gin lemon. Perchè di danni se ne possono fare pochi, e perchè esiste una strana legge del contrappasso per cui i migliori gin lemon mai assaggiati li ho ordinati nei peggio bar. E’ un fenomeno che andrebbe approfondito”.
Svolazza garrula Sara Mariani: “Cavoli tutti la stessa risposta!!!”.
Carmelita Cianci, abbastanza allergica alle riunioni di redazione risponde brusca: “Non ordino, anzi mi faccio di seltz”.
Prima incursione con citazione cinematografica (supponiamo) per Adriano Aiello: “Ovviamente una birra che sa di piscio (cit.)”.
Andrea Soban ha molto viaggiato e non manca di farlo notare: “Nei peggiori bar del sud est asiatico mi sono difeso chiedendo birra in bottiglia, tassativamente, spesso con grandi soddisfazioni (specie in Vietnam) ma anche no, vedi l’India. Lì ho scoperto che un conservante della birra è la glicerina”.
E’ il momento di Sara Porro. Avvinta dal tema, è stata lei a caldeggiare la riunione di redazione: “Americano: Bitter Campari, Martini rosso e seltz. Praticamente a prova di bomba, ha ovunque lo stesso sapore vagamente medicinale, perfetto per fare da contrappunto alla tremenda untuosità delle patatine dozzinali servite in accompagnamento all’aperitivo in tutti i postacci”.
Martina Liverani rovescia le situazioni, propone cambi di scenario che gli storici dovrebbero analizzare seriamente, qui a fare le domande è lei: “Le servono le birre in bottiglia in questo postaccio dove mi avete portato? No? E allora che sia vodka tonic. Anzi due. Facciamo tre e non se ne parli più. Gli anacardi stantii stoccazzati da tutti gli avventori almeno ci sono?”.
Attenzione adesso: risponde Lorenza Fumelli, già lungamente mixologist: “Se il bartender sembra mio nonno senza mai essere stato pubblicato da riviste di settore, se al posto dei metalpour (versatori in metallo) hanno le bottiglie chiuse con i tappi sbagliati, se il ghiaccio è di quelli che escono cubetto per cubetto dalle bustine di plastica, c’è una sola soluzione: bicchierino di tequila bianca, tanto sale e tanto limone. Alle brutte, disinfetta”.
Interviene di nuovo Adriano Aiello, che attraversa consapevolmente la fase “cavillo ergo sum”: “Da queste risposte però fuoriesce un gruppo di gastrofighetti pronti a escogitare complesse strategie per sopravvivere allo sdegno e fare di necessità virtù, ma nessuno che abbia piacere a trovarsi nel peggior bar di Caracas! Insomma un quadro snob”.
Replica decisa Lorenza Fumelli: “Adriano perdonami, dopo anni di drink la m**da bevitela te”.
Adriano Aiello: “Figurati, non bevo un superalcolico dal primo ‘Ritorno al futuro’. Mi limitavo a interpretare la potenziale percezione dei lettori. Sopravvalutandoli forse, o forse no”.
Sara Cabrele, ammaliata dalla lista dei migliori ristoranti con vista si era tenuta fuori dalla discussione, poi è intervenuta: “In caso di fondati dubbi sull’igiene del locale: shottino di vodka ghiacciata con un goccetto di tabasco a seguire una birra. Se invece potessi bere come se non ci fosse un domani, procederei con una caiprinha (sperando che la cachaca sia buona) e poi un vodka tonic con una vagonata di lime”.
L’ultima parola è di Vincenzo Pagano: “Io sono astemio. Martini cocktail”.
Con tutto questo parlare di alcol speriamo di avervi scaldati, perché inevitabilmente a questo punto il copione prevede la riunione aumentata, entrate in scena voi, la redazione allargata di Dissapore.
Cosa bevete, dunque, nei peggiori bar di Caracas?
[Crediti | Link: Dissapore, immagine: Gourmet]