Da quando sull’altro lato della strada ha aperto un punto vendita Naturasì, catena di negozi che si colloca nell’arco del biologico-insurrezionalista, dell’anarco-fricchettonismo, ci sono stata parecchie volte.
Direi che mi piace molto fare acquisti lì.
Anzi no.
Direi che mi piace la gente che lo frequenta, perché sono tutti grandi scrutatori di etichette, proprio come me. Anzi, che non mi piace, perché quando vedo alla cassa un uomo che non batte ciglio spendendo 100€ per acquistare granaglie assortite, fantastico di costringerlo con la forza a mangiare patatine del McDonald’s mentre piange debolmente.
Sistematizzando:
Mi piacciono le verdure: da agricoltura biologica, per quanto possibile locali, rigorosamente di stagione. E buone. Ad esempio, la zucca che ho utilizzato per fare la pumpkin pie era così dolce e aromatica da aver reso il mio dolce speciale.
Certo, a gennaio la varietà è quella che è. Oggi la scelta era limitata a sedano rapa (4,20€ / kg per un ortaggio con la faccia di un anziano, no grazie), sedano, cavolfiore, broccoli, porri, verze, cime di rapa, carote, finocchi. Ho sospirato e acquistato cavolo romanesco, che almeno ha le geometrie frattali (applico strani criteri estetici nella mia dieta), e mi è venuto in mente perché la scorsa settimana quando sono andata al Carrefour mi sono sentita come Eva nel giardino dell’Eden (Melanzane! Peperoni! Pomodorini!).
Mi piacciono le tisane Yogi Tea. Soprattutto la grafica. E la promessa di pace interiore.
Non mi piace la selezione di pasta, che compete con le buone paste artigianali solo nel prezzo.
Mi piace molto il caffè biologico e fair trade di Ecor.
Non mi piace la selezione di vino, basata sulle certificazioni e disattenta alla qualità.
Mi piace la selezione di ingredienti giapponesi, migliore per ampiezza e valore rispetto a quella della maggior parte dei negozi etnici di Milano (sto guardando te, Poporoya). Mi piace meno spendere 6,70€ per un ciuffo di fiocchi di alga Wakame (però biologici). Ripetiamo insieme: per quel costo al grammo si deve trattare di marijuana.
Mi piace, in breve fuoritema rispetto al cibo, la selezione di prodotti di bellezza Weleda. Da quando uso la Skin Food in inverno ho ridimensionato il mio aspetto a chiazze in stile Merkel sulla neve. Mi piacciono meno i prodotti per l’igiene della casa: se voglio che il mio appartamento non sia pulito, mi risparmio direttamente la fatica del tentativo, grazie.
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Mi piacciono moltissimo i pomodori datterini al naturale (barattolo a 1,69€) e la passata di pomodoro della Fattoria di Vaira: così dolci che non aggiungo nemmeno una punta di zucchero al sugo per la pasta. Non mi piace per niente, invece, il reparto surgelati, che contiene ogni sorta di nefandezza dal prezzo esagerato: dalle 4 coppe di gelato alla soia Valsoia a 6,70€ (in pratica il costo di un buon gelato artigianale, un minuto di silenzio per gli sprovveduti acquirenti) alle due Pizze Margherita Surgelate – biologiche, per carità – a 9,40€ (per quelli che comprano questo, nessuna pietà. Propongo anzi sequestro dei beni e isolamento diurno).
Amo di amore viscerale i prodotti della bavarese Andechser, dal latte biodinamico, alla crème fraîche, agli yogurt, come quello alla stracciatella (3,52€ ), che sto scucchiaiando allegra in disprezzo del mio primo giorno di dieta. Non mi piace neanche un po’, invece, il rotolo di pasta sfoglia Amicucina per torte salate, fatto con margarina vegetale ottenuta da olio di palma di agricoltura biologica (ah bene).
Quest’ultimo esempio illustra bene i limiti della proposta di Naturasì: molto è “biologico industriale”, come lo chiama lo scrittore e giornalista Michael Pollan, cioè quel tipo di produzione alimentare che resta – non senza furbizia – nei limiti della certificazione così da rassicurare il consumatore e spuntare prezzi più alti, senza però rappresentare una reale discontinuità rispetto al sistema con cui ci approvvigioniamo del cibo.
[Crediti | Link: Dissapore, Telegraph, immagini: Naturasì, Barfitout, Noplon]