Prima di diventare contenuto onnipresente nei bicchierini design dei buffet più branché, la pappa al pomodoro era la cena povera di mia nonna. La preparava attingendo dal sacchetto del pane vecchio, attaccato al chiodo in cucina, abbastanza in alto perché i suoi figli non se ne servissero da soli depredando una delle risorse di famiglia.
Fare archeologia gastronomica è uno di quei piaceri della vita che non tutti si possono concedere: in Italia possiamo.
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Procedere a salti, per amarcord, è l’unico metodo che mi è venuto in mente per compilare una tassonomia che pecca un po’ di nord-centrismo. Ma è una lista aperta, se volete aiutare.
1. Pappa al pomodoro.
L’inevitabile zuppa di pane vecchio e salsa di pomodoro non è solo toscana (mia nonna era modenese), eppure, con quel marchio di fabbrica è approdata a pieno titolo nei menu gastrofighetti del XXI secolo. Non tutti hanno lo stesso destino: alla minestra di semolino non è andata altrettanto bene, al massimo può ambire a essere la portata principale del pranzo di Natale al residence Anni Azzurri.
2. Minestra di castagne.
Un altro piatto che ha avuto una discreta fortuna, la minestra di castagne è stata ripresa in varianti ricche in cui si aggiungono ceci, farro, orzo, formaggi, extravergine e spezie a seconda delle varianti regionali. Atroci racconti di infanzia invece mi riportano a un brodo di castagne secche, senza aggiunte di sorta, in cui galleggiavano castagne ancora con qualche buccia, che i meno affamati potevano sputare.
3. Cappelletti in brodo col lambrusco.
Fare l’aggiunta di mezzo bicchiere di lambrusco al brodo dei cappelletti era quasi la norma: in pochi centimetri quadrati di scodella sintetizzavano il meglio della tradizione gastronomica emiliana. Un concetto di fast food a regola d’arte, di cui ci si potrebbe quasi quasi appropriare.
4. Il semolino.
Terribile a vedersi, il semolino ha molti usi interessanti: dagli gnocchi alla romana alle losanghe dolci fritte di carnevale. Eppure in versione polentina morbida un po’ anemica, su cui nei giorni di vacche grasse si aggiungeva un po’ di formaggio e un filo d’olio, era una cena di tutto rispetto.
5. Polenta nel latte.
La massaia previdente faceva in modo che dalla cena avanzasse la polenta, così c’era qualcosa da scodellare a colazione. Nell’appennino centrale l’usanza era perpetrata anche con il gnocco fritto. Ho sempre immaginato con ribrezzo gli occhielli d’olio che si dovevano formare nella tazza di latte candido.
6. Ricotta e zucchero.
Ovvero la cena low cost per i bimbi della famiglie numerose. Un quarto di ricotta fresca nel piatto e la ciotola dello zucchero in mezzo alla tavola. E vai di cucchiaiate.
7. L’uovo crudo.
La colazione dei campioni. In campagna per i bambini di costituzione gracile l’uovo ancora tiepido di gallina bevuto di nascosto dal capofamiglia, magari chiusi nel bagno del cortile, era un’atroce esperienza da cui era difficile sfuggire. La variante à la coque è tanto impegnativa da preparare quanto insopportabilmente upper class.
8. Caffellatte con il pan biscotto.
Un sempreverde. Qualche conoscente con scarsa propensione ai fornelli la propina ancora per cena. Io potrei raccontare storie di figli torturati dalla scodella di zuppa marroncina, inesorabile sulla tavola della colazione. Dopo un minuto di silenzio, ringraziamo la sorte per l’avvento dei biscotti.
9. Minestra con l’uovo.
Gettare un uovo sbattuto con un po’ di formaggio nel brodo bollente è una di quelle godurie che io mi concedo ancora.
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