Wine geek, avvinazzati, enostrippati, malati di vino o come vogliamo chiamarci. Non nascondiamoci dietro un dito macchiato di rosso: siamo gente turbata, mal vista e spesso derisa.
Usiamo un linguaggio tecnico e spesso ridicolo, ci ricordiamo stagioni e grandinate, ci emozioniamo di fronte a un acino o alla storia di un produttore, organizziamo i nostri spostamenti rispetto alle cantine e agli eventi. E mai lasceremmo la macchina al sole con del vino dentro. Il bambino piccolo sì, invece.
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Però siamo anche generosi. Pronti a sacrificare il caloroso abbraccio della nicchia per produrre un vocabolario comprensibile al resto del mondo e renderci intellegibili.
Questa guida è infatti pensata per tutti voi, improvvisamente caduti in un incubo etilico: un tavolo ad alto tasso di eno-snob, tutti intenti a scambiarsi impressioni, appunti e considerazioni di cui non cogliete il significato.
“Alla fine, gli unici bianchi italiani degni di essere bevuti sono il Verdicchio e il Fiano”.
Contrariamente al pensiero comune (o a molto di questo) un buon vino bianco deve avere caratteristiche di complessità, pulizia e longevità , esattamente come i grandi rossi.
“Ho assaggiato di recente un costosissimo Barolo anni ’90 di un modernista. Peccato che fosse morto”.
Parla del vino, non del produttore. Il mondo del Barolo vive l’aspra contrapposizione tra tradizionalisti e modernisti. I primi producono vini più austeri e longevi e hanno rialzato la testa dopo un paio di decenni di dominanza dei secondi, che preferiscono ingentilire il Barolo e renderne più facile la bevibilità.
“Basta, basta, bastaaaa con questa barrique. Ancora con queste spremute di legno tutta vaniglia! Sono buone solo per qualche americano che va in vacanza in Toscana“.
Durante il periodo d’oro del vino italiano (negli anni Novanta) era consuetudine omologare la produzione al gusto internazionale che chiamava vini rossi molto strutturati, profumati e alcolici; dolci in bocca e vellutati. Al primo impatto sono piacevoli e piacioni, poi faticosi.
“Non ne posso più di questi “vini da punteggio” di cui ti versi un dito e stai lì a magnificarne i sentori, poi tra legno e alcool la bottiglia resta tutta lì. Un vino deve essere bevibile, la bottiglia deve finire in due. E in fretta”.
Vale la spiegazione precedente.
“In Franciacorta dovrebbero piantarci patate e prezzemolo, non farci vino. E se devo bere proprio una bolla italiana allora sono il Giulio“.
In Franciacorta è stato fatto un grande lavoro commerciale ma rispetto ai prezzi di acquisti, troppi vini risultano privi di personalità. Se vuoi bere un metodo classico italiano che rivaleggi con i migliori Champagne, devi provare la Riserva di Giulio Ferrari Riserva del Fondatore.
“Se bevo un altro macerato posso uccidere. Ce ne saranno due decenti! E poi il vitigno dov’è?!”
La moda di macerare i vini bianchi sulle bucce, vinificandoli come rossi e dando vita ai cosiddetti orange wine può essere pratica invasiva che priva il consumatore delle reali caratteristiche del vitigno originale. Un po’ come per la barrique.
“Troppi naturali hanno qualche puzzetta di troppo e sono surmaturi, ma hanno il loro poesia. D’altronde chi l’ha detto che l’equilibrio e la perfezione sono un valore?”
Nonostante alcuni difetti certi vini naturali hanno personalità da vendere. Bevendoli capisci di cosa dovrebbe sapere il vino di quel luogo. E gli perdoni qualche sbavatura. Qui potete aggiungere tutta la messa cantata contro i solfiti.
“Che mi frega dello Chardonnay fatto in Sicilia. Io ormai bevo solo autoctoni. Bisogna essere curiosi!”
Il vino è storia e territorio. Valorizzare il patrimonio italiano significa provare il vitigno caratteristico, invece che bere vini internazionali.
“Il Pinot nero italiano non vale nulla. Il Riesling non viene bene nemmeno in Francia. Merlot e Cabernet potabili se ne trovano solo nel triveneto”.
Vale la spiegazione precedente.
“Gli unici vini dolci che non stufano mai sono quelli tedeschi”.
La stucchevolezza di molti vini dolci è meno avvertibile nei Riesling tedeschi, grazie alle caratteristiche del vitigno nel suo territorio d’adozione.
“Grande vino eh, non lo discuto ma mi è parso così autunnale, con questi terziari quasi scostanti. Temo che tra due ore possa morire”.
L’invecchiamento del vino produce dei sentori unici detti terziari la cui scoperta è sempre un momento di grande poesia. Mentre inizia la gara a chi sente più cose nel bicchiere nulla può escludere che una grande bottiglia, al contatto con l’ossigeno, possa improvvisamente terminare di colpo il suo ciclo vitale e diventare un liquido inerme.
“Quando un bianco del Rodano incontra un bianco della Borgogna, il bianco del Rodano è un vino morto”.
Citazione probabilmente ascrivibile solo al nostro Fabio Cagnetti: i bianchi della Borgogna, al pari dei rossi, sono vini fantastici!
“I migliori prosecco sono colfondo”.
Il Prosecco è un vino industriale troppo abboccato e democratico. Il metodo di rifermentazione ancestrale in bottiglia sui suoi lieviti gli restituisce freschezza e aderenza al vitigno. Occhio che è visivamente torbido, cosa inaccettabile per un certo tipo di bevitore, goduriosa per un altro.
“I rosati sono sempre troppo tecnici“.
La grande attenzione che si da a colore e profumi del rosato, come la difficoltà della sua lavorazione ne fa un vino che spesso ha numerosi interventi di assestamento.
“I migliori metodo classico non sono dosati”.
La spumantizzazione prevede da disciplinare l’aggiunta di zuccheri (in quantità prefissate) ma per godere a pieno le caratteristiche del vitigno e la sua eventuale acidità il rabboccamento, successivo alla rimozione dei lieviti in sospensione, può essere effettuato senza aggiunta del cosiddetto Liqueur d’expedition.
“Tutti parlano delle Langhe ma i più grandi Nebbioli si trovano nell’altro Piemonte. Boca, Ghemme, Lessona e soprattutto Gattinara sono commoventi ed eroici”.
Prima dell’esplosione delle Langhe, molto Nebbiolo veniva dalla zona compresa tra il Nord di Torino e il confine con la Valle d’Aosta. Oggi questo territorio, nonostante i volumi contenuti, è in grande rivalutazione. Commoventi ed eroici sono aggettivi da utilizzare con grande frequenza.
“Dolceacqua è la Vosne-Romanée italiana, il Taurasi è il Barolo del Sud, il Cirò sembra il Gattinara”.
Il Rossese di Dolceacqua è un rosso capace di grandi performance e ha delle caratteristiche che ricordano i mitici rossi di Borgogna; il Taurasi ha un eleganza e un’austerità che ti aspetteresti in Piemonte, come il Cirò che contraddice lo stereotipo del vino del Sud.
“Mamoiada è la Chateauneuf du Pape italiana. Se questi Cannonau fossero del Rodano, il cartellino del prezzo avrebbe l’uno davanti”.
In Italia è ancora possibile comprare grande vino a prezzi contenuti. In Francia no.
“Bevo solo Champagne e Riesling così a tavola ci mangio tutto”.
Dato qualsiasi pranzo, cena, merenda o colazione, la possibilità di riuscire a abbinare ogni portata con lo stesso vino è praticamente impossibile. A meno che non beviate alcuni Champagne e alcuni Riesling. Tedeschi ovviamente!
“E’ un peccato che si sia praticamente perso il gusto un po’ british per i vini ossidativi, perché lo sherry, la vernaccia di Oristano, il Madeira e il Vin Jaune del Jura sono vini immensi, che si fanno beffa dei secoli, ma che purtroppo sono stati beffati dalle mode (e dalla proliferazione degli etilometri)”.
I vini dolci dagli affinamenti infiniti, durano un’eternità, sprigionano aromi incredibili e rappresentano un’esperienza enologica sorprendente.
“Voglio bere rossi snelli, freschi e gastronomici. Voglio sentire le durezze, non l’alcool e le grassezze”.
Dopo un paio di decenni dominati dai vinoni fruttati e strutturati non è più un delitto avere voglia di rossi beverini e leggeri. Anzi!
“Tutti si riempiono la bocca magnificando i sentori idrocarburici… In realtà laddove siano dominanti il vino è o chiuso o (specie se secco) dopo il punto di maturità ideale, quindi hai scelto il momento sbagliato per berlo“.
Intraducibile. Ma provate a esibire la chiosa in una tavola dove ci sia almeno un Riesling con qualche anno alle spalle.
“In Borgogna, visti i prezzi dei cru della Côte d’Or, è ormai necessario pescare ai confini dell’impero”.
Il prezzo dei grandi vini di Borgogna è ormai così elevato che dovete andare a cercare delle chicche spostandovi e sperimentando.
“Questo bicchiere è troppo piccolo”.
Va detto di qualsiasi bicchiere tranne quelli grottescamente smisurati.
“Questo rosso è troppo caldo”.
Va detto in tutti i ristoranti dove non c’è un sommelier. E anche in alcuni di questi per darsi un tono.
“Questo bianco è troppo freddo”
Va detto ovunque: qualsiasi bianco è servito troppo freddo, ma tanto sempre meglio troppo freddo che troppo caldo, visto che è assai più facile porvi rimedio.