Nelle sere di ottobre a casa era un classico. Non ho mai capito se per il gusto di mangiare le patate, che così erano più buone, o per provare l’olio nuovo con il quale inevitabilmente si condivano in abbondanza. Le patate sotto la cenere sono nei miei ricordi più buoni, un po’ come il pane col pomodoro. L’odore che si sprigiona lentamente dentro casa, a metà tra quello che ti aspetti e il bruciacchiato, la domenica sera davanti al camino, la semplicità e la bontà assoluta.
Mio padre faceva così: arrotolava una ad una le patate nella carta stagnola e in un angolo del caminetto le ricopriva di cenere e brace. Non troppa brace, da rinnovare di tanto in tanto e molta pazienza. La cottura sotto cenere è per pochi, per quelli che non hanno fretta e che si crogiolano aspettando di gustare il risultato. Al bando i frenetici della cucina, i pratici preparatori di crostate in 10 minuti, i bimbyzzati del risotto espresso, i crudisti del cetriolo vegano.
La cottura lenta sotto la cenere è cosa seria. Non può essere tutti i giorni, per questo è un momento prezioso. È antica e in disuso, odiata dai salutisti perché nel bruciacchiato che gli estimatori amano per loro c’è satana. Non sto parlando dell’uso raffinato della cenere alla maniera di Redzepi del Noma, il migliore ristorante del mondo a Copenhagen, è la scoperta e la ricerca dei nostri avi che mi affascina.
Dalla cottura del pane, a quella perfetta di radici e tuberi fino ad arrivare alla creazione degli involucri protettivi di foglie, una sorta di cartoccio primordiale, creati appunto per impedire la fuoriscita dei succhi, la dispersione dell’umidità, proteggere i cibi più delicati, per la cottura perfetta.
Tornando a noi, evitando di elencare le milioni di ricette che si possono realizzare, farò come sempre la mia personale classifica di gradimento:
1. Patate. Vincono sempre. Le cuocio alla maniera di mio padre per un paio d’ore circa, a seconda della grandezza. Una volta cotte, le divido a metà, pratico con il coltello dei piccoli tagli inclinati, condisco con sale e olio buono. Non hanno bisogno di nient’altro.
2. Cipolle. Stesso procedimento delle patate. Si possono mangiare condite con olio, aceto e sale, oppure possono essere la base di un’ottima zuppa di cipolle alla francese, che avrà la marcia in più dell’affumicato.
3. Peperoni. Cotti direttamente sulle braci, tecnica detta anche ember roasting, come insegna l’amico Gianfranco Locascio nel suo ebook “I segreti del griller Gourmet”. Una volta cotti, si raschia la parte carbonizzata dai peperoni e si utilizzano in milioni di modi: sulla pasta aggiungendo una grattata di salva cremasco o ricotta salata, su un’insalata, conditi con olio e sale, per una salsa o ridotti in crema.
4. Baccalà. Si asciuga bene, si divide in porzioni, si condisce con olio, aglio, sale e pepe e lo si avvolge in un foglio di carta paglia. Si ricopre di cenere e poche braci per 30 minuti.
5. Uova. Devono essere freschissime, manco a dirlo. Si puliscono con cura, si mettono sotto la cenere per 5 minuti. Si tolgono, evitando di ustionarsi le dita, si perforano nella parte alta, si aggiunge un pizzico di sale e via di scarpetta con una crosta di pane abbrustolita infilata all’interno. Fino ad arrivare alla parte finale, quando aiutati da un cucchiaino sarà meraviglioso mangiare ciò che rimane all’interno del guscio.
È ora quindi di accendere i fuochi, i caminetti, le braci. Con la determinazione degli antenati, armarci di pazienza e buttarci nel meraviglioso mondo della cenere. Voi che dite? Mai provato? Preparazione preferita? Tecniche e segreti?
[Crediti | Link: BBQXAll, immagine: Porzioni Cremona]