Da assidua della Liguria aspettavo Rubio al varco. Lo chef tatuato non si è fatto attendere: destinazione del terzo episodio di Unti e Bisunti 2 è il capoluogo ligure, città dei carruggi e della cima. Volevo vedere come se la sarebbe cavata con la proverbiale ospitalità dei genovesi, quella che ha fatto nascere il detto “torta di riso? Finita” ( da leggersi con voce gutturale). Non è sempre così, ma per entrare in confidenza con certi gestori di locali si fatica. E qualcosa mi diceva che nell’economia dell’episodio il ligure scorbutico sarebbe stato importante quanto le acciughe.
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Iniziamo: Rubio è sulla spianata di Castelletto a osservare dall’alto la città. Avete presente la scena del Re Leone in cui Mufasa dice al figlio: “un giorno tutto questo sarà tuo”? Ecco, uguale. Solo che Chef Rubio è solo e da buon rugbista punta dritto alla meta: il porto illuminato dalla lanterna che tanti marinai ha guidato.
Arrivano i primi personaggi: sono i camalli, gli scaricatori del porto, rappresentati come bruti nell’atto di scuotere la povera auto di Rubio ( che per l’occasione si è rifatta il look diventando mimetica ). Malgrado un primo approccio poco amichevole i camalli offrono a Rubio lo stoccafisso accomodato e lui ne approfitta per chiedere dove iniziare la perlustrazione. Avete dei dubbi?
I camalli lo spediscono dritto nei carruggi carugi. Per ringraziarli Rubio li nomina giurati, l’effetto bruti si attenua quando il capo camallo dice “avvisami con un messaggio”.
S’inizia dai fritti: pescetti in carpione e pescetti fritti, frisceu e panissa. Una combinazione potenzialmente letale per uno stomaco poco allenato che Rubio affronta in scioltezza.
Lo chef rugbista s’avvia verso una torteria, è il turno della Pasqualina con carciofi e biete. Genovesita estrema nelle parole di Paolo che non è uno chef e ci tiene a sottolinearlo: lui fa il tortaio.
E la torta di ceci, che si chiama farinata, NON È come quella di Livorno, con la cecìna i livornesi hanno solo copiato. Rubio si emoziona quando scopre l’esistenza della priscinseua, il caglio senza cui una torta non può dirsi genovese.
Scatta il richiamo della carne. Prima ci sono la trippa e la vera sbira alla genovese.
A indirizzare gli istinti famelici di Chef Rubio verso una delle più famose specialità genovesi, la cima, sono alcuni ragazzi si stanno allenando per il Campionato mondiale del pesto.
I due fuenti che preparano la cima snocciolano: pancia di vitello ripiena di animelle, cervella e manzo tritato. C’è tutto: il quinto quarto e la ciccia succulenta.
Per la sfida la cima alla genovese sembra avere un buon vantaggio, ma Rubio cade preda di una visione mistica: un gruppo di genovesi che canta una canzone sulla torta Pasqualina. Dev’essere l’onnipresente birra dello sponsor cacciata un po’ a forza nel programma. Si torna da Paolo il tortaio e la sfida può iniziare. Chi perde farà la “penitenza del camallo” nome non proprio rassicurante.
Ne abbiamo già parlato, per tradizione la torta Pasqualina ha 33 strati, Chef Rubio semplifica e ne fa solo tre. Nel suo remake della torta le bietole, colte propria manu in un orto fuori città, non vengono bollite ma solo passate in padella.
Non c’è storia, i camalli conoscono perfettamente la tradizione. Tradisce lo chef anche il suo “fratello di tatuaggio” un ragazzo marchiato quasi quanto il nostro. Il quale, poverino,viene spedito a scaricar scatoloni con grande sollazzo della quota femminile presente sul set.
La parte migliore resta la nottata dormita su un tavolaccio della latteria per aspettare che la prescinseua indurisca. Oppure ogni vano tentativo di dire “prescinseua” in modo corretto, fallito miseramente. Ma provateci voi se siete capaci.
[Crediti | Link: dMax, Dissapore]