Promettere a qualcuno una solenne “una mangiata di pesce” è ancora, in molte città d’Italia, la promessa di una luculliana e costosa puntata al ristorante. Dagli anni Ottanta in poi, la mangiata di pesce non è tale se non comincia con 150 antipasti che con il loro stillicidio ininterrotto ti fanno arrancare fino al primo cameriere che incontri per implorarlo di non portarti il primo.
Proprio per questo gran parlare che si fa della pantagruelica abbuffata ittica, succede che qualche ristoratore furbetto si faccia prendere la mano e tra il sauté di cozze e i tagliolini all’astice, quando si è già un po’ storditi, infili un piatto che con la suddetta mangiata non dovrebbe c’entrare proprio nulla.
Chi è senza peccato scagli la prima chela.
GAMBERETTI IN SALAMOIA.
Soprattutto se accompagnati da una smappazzata di maionese e disposti su una foglia di lattuga. A dire il vero, sulle foglie di lattuga, in quel modo, ci stanno solo le lumache.
CHELE DI GRANCHIO FRITTE.
Con quei palloncini fritti da cui spunta colpevole una pinzetta rossa, forse appartenuta ad un granchio, vi stanno definitivamente prendendo per i fondelli. Ingurgitarle pensando che siano davvero chele di granchio, oppure ingurgitarle pensando che siano buone sono due opzioni che non contemplo.
SURIMI.
Per chi ancora non lo sapesse, il surimi si ottiene dagli scarti della lavorazione di vari pesci, tra cui il merluzzo e il tonno. Gli avanzi, pressati, vengono insaporiti artificialmente con un sedicente gusto di granchio.
Come Alien, assume diverse forme: quella più moderna riproduce dei gamberoni finti che si trovano in quasi tutti i buffet cinesi all you can eat. A me sembrano più dei bachi da seta obesi.
CARPACCIO DI POLPO.
C’è anche qualcuno che si produce in arditi esperimenti culinari casalinghi, costringendo un polpo in una bottiglia dell’acqua vuota (procedimento vagamente inquetante e comunque di una infelicità indescrivibile). Ma cosa vi hanno fatto di male quei morbidi tentacoli freschi di cottura?
VONGOLE IN VASETTO.
Non si possono definire vongole quelle nel barattolino in salamoia. Una volta ho visto qualcuno gettarle direttamente nell’acqua in cui bolliva il risotto. Ecco, per fare chiarezza, la gente non intende quello quando pensa al risotto con le vongole.
TONNO IN SCATOLA.
Anche quando se ne trae un paté che fa, almeno in apparenza, dimenticare la forma a scatoletta dei pezzettini rosa di tonno lesso, sappiate comunque che il tonno in scatola non è incluso nella categoria del pesce vero. Entrano nel novero anche il salmone, lo sgombro e le sardine in scatola.
CROSTINI DI SALMONE.
Border line, il salmone affumicato, soprattutto quello di dubbia qualità, non rientra nei piatti che voglio assaggiare quando esco per mangiare il pesce. Sbaglio? Qualcuno sa spiegare razionalmente il perché? Io temo che il motivo per cui non li voglio abbia a che fare con vaghi ricordi di cenoni natalizi coi parenti.
TRANCI NON MEGLIO IDENTIFICATI.
Uno dei piatti mito della mangiata di pesce è sicuramente la grigliata mista, eppure c’è un’immagine terribile che ancora oggi non riesco a cancellare dalla mia memoria: un enorme trancio grigio, stagliato nel mezzo del piatto. Giuro era impossibile capire a che pesce appartenesse quel pezzo. E speriamo che fosse un pesce.
PANGASIO.
Il pesce vietnamita che propinano ai bimbi perché è insapore appartiene alla categoria del pesce solo se ne fanno parte anche i bastoncini Findus.
ANELLI DI CALAMARO.
Serviti solitari e con una forma troppo perfetta, mettono in allarme anche chi è meno avvezzo alla frode: sono surgelati. Se è così preparatevi a masticarli per qualche lungo quarto d’ora, o a scambiarli per un chewingum.
[foto crediti: non sprecare, un’arbanella di basilico, spesamatta, poloni ristorazione, cucina con lully, italicum, eat ing, un pizzico di saula, la piccola casa, la cucina di cla, max fattorini]