Sono passati tre anni dal 2009. Davvero? Gastronomicamente sembra un’altra era geologica. L’era nella quale Carlo Cracco – ovvero l’unico uomo al mondo che lotta strenuamente con Massimo D’Alema per la leadership nella categoria di simpatia contagiosa e solennità sfiancante – ha rischiato di prendersi un paio di destri da un cliente che si è visto arrivare un conto di 4.140 euro (per 6 persone), lievitato per le generose grattate di tartufo bianco elargite sopra tagliolini e uova al tegamino. 300 grammi a 10,9 euro al grammo (per la modica cifra di 3.730 euro), ma l’accusa mossa a Cracco è di non aver pesato il Re dei golden food. Che assenza di eleganza, che attaccamento ai soldi! Anche io d’altronde quando riverso il tartufo sopra le uova mica mi soffermo sulla quantità, diamine.
Alla fine la civiltà dei pugni sopperì alle barbarie dei processi con Cracco che prima di capire che il futuro era nello scalogno (come da nuovo libro) finì per denunciare il cliente per “insolvenza fraudolenta”, visto che in un impeto di autodeterminazione questo gli recapitò un assegno di 2000 euro, cioè quello che riteneva essere un prezzo equo, anche in virtù di un analogo pasto consumato un anno prima e costato la metà. E il tartufo intanto aveva diminuito il suo prezzo. Senza avvicinarsi ancora allo scalogno però.
Ora se seguite le nostre news saprete che Cracco ha vinto la causa e intascato i 4000 euro (140 sono stati scontati, che generosi) e probabilmente ha pure ragione extra-giuridica. Forse non quanta gliene tributa Paolo Marchi sul suo blog , dove in un impeto di eccessivo entusiasmo scrive: “La morale: se vuoi fare il fenomeno devi averne la statura, altrimenti fai la fine della rana di Fedro. Però, prima sbatti il mostro in prima pagina, poi si vedrà. Quanti tra un po’ si ricorderanno che Carlo aveva ragione? Pochi, ancora meno di quanti lo sapranno.”
Come a dire che i 4000 euro ritrovati non levano a sufficienza la macchia del clamore mediatico dei tempi. Ora scusate se non riesco a immalinconirmi duramente per l’ingiusta perdita d’immagine ma tutta la vicenda, a tre soli anni di distanza, in un’Italia piegata in due dalle continue vicende della crisi, degli sprechi, dai rubasoldi istituzionali e non, fa un po’ ridere.
Non si tratta di indossare i guanti della retorica e cominciare a digrignare i denti contro chi spende 2000 o 4000 euro per mangiare una cosa che puzza anche di gas, quanto piuttosto di segnalare un’istantanea della distanza sempre più incolmabile tra la realtà e questa sorta di romanzo leccato che è l’alta cucina e i suoi rituali. Ma ai piani alti se ne sono accorti e parlano di scalogno.
[Crediti | Link: Il giornale, Dissapore, Paolo Marchi, immagine: Alessandra Tinozzi]