Facile scrivere del rapporto tra gastronomia e libri, consolidato dalla storia: dai trattati agricoli, di convito, fino ai testi di improbabili ufficiali gentilcuochi sono le scripta – quelle che manent – a testimoniare della codifica del mondo culinario; divenendone impressione permanente.
In un certo senso, la cucina che conosciamo e la sua evoluzione sono incarnati dall’evoluzione degli scritti più che dagli stessi piatti, la cui natura estetica si esaurisce nell’essere introiettati: distrutti, digeriti, consumati in un momento. Un piatto è una barca e noi siamo gli tsunami: un piatto non lascia segni se non nella memoria; la sola possibilità di lasciare una scia lunga è che si fissi la sua esistenza dentro a un testo.
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Ma un testo non per forza è un libro: un testo è un’immagine, un racconto, una poesia.
Una musica, lo è?
Lo è di certo, e certe musiche più di altre raccontano atmosfere e culture in modo più completo delle singole parole.
Di seguito, un tot di canzoni che parlano principalmente di altro (ma dal mio punto di vista, soprattutto di gastronomia: perché hanno momenti significativi che trafiggono l’immaginario e lo fanno dilagare all’infinito, regalando profumi e calor di taverna, colline sfalciate dal fieno o il Gelo dell’acciaio, che trita la carne, nell’ombrosità austera di un impianto industriale).
Fabrizio de André, Crêuza de mä
Nessuno come Faber ha mai saputo scrivere, in musica, parole – per una letteratura grande abbastanza da travalicare i muri della discografia e pervenire alla grandezza generale. In Crêuza de mä bastano sei versi a racchiudere un mondo disperato ed eroico di povertà e avventura, tutte le guerre del mondo, tutto il Mediterraneo, l’intera storia di navigatori che in quanto Italiani ci possiede e tira i fili.
Pesci fritti ed interiora, muri scrostati, vino cattivo e un pasticcio di gatto diventano scogli a cui aggrapparsi per un momento, prima di lasciarsi volontariamente alla corrente invincibile del mare di vita; ed approdare (forse mai) alla conquista di nuove tavole e nuovi odori.
E a ste’ panse veue cose che daià?
Cose da beive, cose da mangiä:
frittûa de pigneu, giancu de Purtufin,
çervelle de bae ‘nt’u meximu vin
lasagne da fiddià ai quattru tucchi
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi
E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
One Bourbon, One Scotch, one Beer – Albert King&John Lee Hooker
Dieta eclettica, quella del bluesman: liquida perché non servano i denti, che si potrebbero esser perduti durante l’ultima rissa casuale; pesantemente alcolica per non mollare, per lo meno finché non si sviene, la voglia e la forza di cantare.
Nel pieno degli stilemi della Louisiana nera, tra suole bucate e piantagioni di cotone, è al bancone che si svolge la routine alimentare di un mondo di underdog che mai si rassegna; che sa di poter contare nella vita sulla chitarra e sull’armonica, sul bartender e sulle noccioline in una ciotola e le puttane.
3) Max Gazzè, Due apparecchi cosmici per la trasformazione del cibo
A volte lo zucchero diviene fiele, i coltelli si vendicano, l’assenzio da amaro che era diventa vendetta di miele.
In un viaggio lisergico e cibernetico di macchinari animati e dotati di volontà, attorno a un incubo gastronomico circense volteggiano rivelazioni ermetiche di E. A. Poe, massacri da Cronaca Vera, anime salve e inconfessabili peccati mortali.
4) MF Doom – Kookies
Fuori da un album tematico che forse bisognerebbe citare per intero, “Mm… Food”, Kookies è una pletora ininterrotta di nomi di biscottini, snack tappabuchi, wafer alla vaniglia e al cioccolato.
Pasticcini da addentare che il virtuoso rapper di Atlanta preferisce col culo grande e sempre in movimento. Ops.
5) Ugolino, Ma che bella giornata!
Papà del pop-rock demenziale, consociato del Clan celentaniano, Ugolino regala una perla gastronomica del pieno ’68 operaio: mense aziendali, cambiali e proteste, vacanze al mare e squallore alimentare si incontrano in questo brano dall’eco fantozziana (l’autore comparve in Quelli della Domenica, tra l’altro, condotto da Paolo Villaggio).
Mi sveglio al mattino, e sento gridare, qualcuno mi dice “ti devi sbrigare!”
In sette minuti mi lavo la faccia, e prendo il caffè con un po’ di focaccia…
[…]
Nell’ora di sosta mi prendo un panino, con acqua rossiccia che chiamano vino
Ma quando arriva la sera, il gran pasto: un po’ di gelato e del pesce già guasto!
… MA CHE BELLA GIORNATA!
6) Medeski, Martin&Wood, Tequila&Chocolate
Pura sinestesia per un grande trio del jazz d’avanguardia: tra organi hammond e sintetizzatori che risuonano di ebbrezze del Jalisco, alte come vapori lucenti, e bassline sincopate e ricamate, si intrecciano accenni di chitarra stracciati dall’ubriacatura che lasciano trasparire una rotondità di cacao criollo.
La progressione degustativa fodera la mente in un abbraccio burroso, frizzante e dal fondo piacevolmente erbaceo e amaro; che disorienta ed intrattiene con classe suprema.
7) Led Zeppelin – Tangerine
Gli oli essenziali del mandarino come una madeleine: vento tiepido di Settembre nelle corde acustiche di questa ballata (pubblicata nel 1970 in Led Zeppelin III ma risalente all’era Yardbirds), che riportano con i profumi di un tempo che non è più memorie di un amore infestante, fragranze di capelli e frutti condivisi sdraiati su un prato, baci inaspriti dal succo acerbo di giorni che sembrava non dovessero finire.
8) Jah Mason – Acres, and Acres
Farmer man a plant acres, and acres, and acres and miles:
we got to feed di Nation, children and child
We a plant acres, and acres, and acres and miles:
mi nuh want nuh fast food, well Rasta love di food boiled!
Mi nuh fertilize mi food, mi love mi food when organic!
Got to plant food fi feed the whole planet
Grow food, love food, vegetables, scotch bonnet:
dem import di food, well, wi a go ban it!
(Jah Mason, slowfoodista inconsapevole ed autore del brano, è uno dei purtroppo non molti artisti reggae jamaicani ancora autenticamente rastafariani. La dieta rasta, i-tal, prevede una condotta vegetariana e priva di sale, spezie e intossicanti di ogni tipo; inclusi alcool e caffè.)
9) Têtes de Bois, Vomito
In amore si sa, bisogna prendersi per la gola: quando l’amore è finito, in gola ci vanno due dita; per rigettare il conato acido dell’intolleranza e del chimelhafattofare. Scanzonature da carosello e anima punk danno vita a un testo e ad arrangiamenti in cui, con le tinte dei quadri di George Grosz, l’ex compagna si trasforma in un pasto da indigestione.
Piatti di risotto in bianco sciapo, fegatelli (i suoi anelli), le sue pellicce: due salsicce! Il collettivo autoriale dà il benservito a una persona insipida – e a certo buonismo – con un rigurgito irriverente e giocoso.
10) Paolo Conte, Gelato al limon
In punta di piedi, silenziosamente, nell’equilibrio precario di un mignolo sui tasti più alti d’un pianoforte nasce una forma diversa d’amore. Quello incerto e maturo, sentito e insicuro, di quando un uomo ed una donna hanno anni alle spalle e ormai sanno che stare insieme è bilanciamento delicatissimo di minuscole cose…
Si rincorrono immagini assolate di riviera, di gonne di pizzo e cuffiette, di finestre polverose accennate dal pennello suggestivo dell’Avvocato; e lasciano intuire il significato di un sentimento che si condensa nell’aroma decadente e fresco, consolante e acerbo nella memoria, di un gelato da sorbire un po’ per uno; fissando un pomeriggio il rincorrersi di onde lontane.