Ho un cane bellissimo, anzi il cane più bello del mondo, di cui vado fiera come di poche altre cose, persone, fatti. Quando è arrivato, la questione gastro-deontologica mi si è palesata sottoforma di due occhietti a pallina che ti fissano languidi e dolci mentre stai facendo qualsiasi cosa, soprattutto se il qualsiasi cosa ha a che fare col cibo. A un certo punto, insomma, ho avuto qualche cedimento strutturale e da impavida carnivora quale sono sempre stata, sono stata vittima di indecisione.
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Per un periodo sono stata flexetariana, ho mangiato pochissima carne, ma poi un giorno ho capito che anche nelle crocchette per il mio cane c’era la carne e sono tornata al solito regime alimentare.
Tutto questo per dire che credo non sia contemplato nel mio DNA nessun genere di vegetarianesimo, anche se a intervalli piuttosto regolari cerco negli ortaggi un lavaggio di coscienza (per la precisione più sugli allevamenti intensivi che sulla questione morale).
Preso atto delle mie debolezze, continuano ad esserci degli alimenti che mi provocano scompensi deontologici, e verso i quali l’imbarazzo é tuttora notevole. Eccoli i cinque cibi che mi mettono in crisi, e che se mi capitano nel piatto mi fanno sentire una persona brutta.
1. Gianchetti (o bianchetti).
Altresì detti “novellame”, il peggio accade quando qualcuno li chiama “neonati” come Camilleri / Montalbano che hanno avuto i loro problemi. Quando andavo a trovare mia nonna in Liguria mi si palesavano nel piatto sottoforma di polpetta. Il problema, però, sono sempre stati gli occhietti neri ben visibili all’interno della poltiglia quasi trasparente.
Neonate, capito? Neonate. E con gli occhi.
2. Agnellino-capretto-maialino da latte.
Dalla carnina morbida e saporita, se cucinati ad hoc sono uno dei food porn indiscutibili. Il problema nasce prima della porzionatura nel piatto. Le vetrine delle macellerie riescono a fare bella mostra di questi cucciolini rosa in rigor mortis ancora interi.
Forse se fossi nata in Sardegna… Buonissimi eh, ma io non ce la faccio.
3. Caviale e bottarga.
In questo caso la difficoltà è quasi metafisica, perché qui non si tratta di neonati o cuccioli, ma di quello che le uova potrebbero diventare, ossia pesciolini in atto e non in potenza (anche perché si tratta di uova non fecondate).
Per me grossi scompensi ideologici e alimentari. E per voi?
4. Galletto.
Siamo cresciuti con simpatici jingle televisivi protagonista l’amburghese di turno, ma già durante la tarda adolescenza mi si è posta la questione. Trattasi di gallo in miniatura oppure di cucciolo di gallo? Ecco, vera la seconda.
I galletti spalmati sulle nostre griglie con le cosce in spaccata hanno circa 20 giorni di vita. Sono poco più che pulcini, sigh.
5. Polipetti.
I moscardini sono piccoli e restano piccoli. I polipetti, invece, sono i figli in etá prescolare del polpo, i suoi piccoli ancora in fase di crescita. In una pescheria di Ostuni, una volta, erano lì che mi guardavano pescati da pochissimo. Da allora non ci riesco più. Per me rientrano nella categoria cucciolini da proteggere. Vi prego, amici napoletani, non li “affogate” più.
Detto questo, se qualche vegetariano ha sfidato la sorte ed è arrivato a leggere fino a qui, è ovvio che ognuno si pone limiti e contro limiti assolutamente personalizzati e soggettivi.
Io, per dire, col vitello non ho difficoltà, e non sono ancora riuscita a capire quale sia la discriminante che fa scattare in me questa specie di “senso di colpa”. Resto una carnivora impenitente, ma accetto di mettere delle postille su alcuni tabù.
Il vostro quale sarebbe, oh carnivori con delega veg?
[CREDITI FOTO Profumo di grano, Wikipedia, Delizie dal forno, copertinefb]