Siete sicuri di comprare riso Carnaroli quando lo acquistate al supermercato per cucinarlo a casa? Sembra incredibile, ma persino alle spalle di piantine innocenti come il riso, si consuma una specie di truffa autorizzata ai danni di noi consumatori, che sull’alimentazione corretta veniamo “disinformati” ad arte.
Da un articolo di ieri del fondatore di Slow Food Carlo Petrini scritto dopo aver letto “Contro Natura“, ultimo libro di Beatrice Mautino e Dario Bressanini (chimico e sci-blogger che della posizione sugli Ogm di Slow Food non è proprio un sostenitore) abbiamo appreso che compriamo una varietà senza sapere che ne stiamo acquistando un altra.
Com’è possibile una cosa del genere, direte voi, e soprattutto, come può essere legale?
Il riso non è tutto uguale, chi si diletta in cucina sicuramente lo sa. Il riso è una pianta, una graminacea, tutt’altro che bianca e brillante quando si trova nel campo. Al momento della trebbiatura, cioè della raccolta, non viene raccolto il riso ma il risone: questi semi, che potremmo chiamare “grezzi”, vengono inviati a un centro di lavorazione dove subiranno vari passaggi per ottenere il “riso raffinato”, quello bianco che compriamo nei supermercati.
Chiunque avrà notato le differenze tra le tantissime varietà di riso, ci sono risi con chicchi più tondi, altri più allungati, alcuni più chiari o più scuri; quando poi si arriva in cucina le differenze si amplificano: ci sono i risi che tengono meglio la cottura, risi che tendono a sbriciolarsi, risi che formano un pastone.
Sbagliare varietà di riso può condizionare notevolmente la buona riuscita del piatto.
Tornando all’industria del riso, visto che, come detto, le varietà sono tantissime, il Ministero delle politiche Agricole ha deciso che risi simili tra loro potevano essere raggruppati in categorie, e che i nomi di queste categorie potevano essere scambiati.
Se non fosse una cosa assurda potrebbe anche essere divertente, ma soprattutto perfettamente legale perché scritta in una legge: il ministero decide di anno in anno quali risi possono essere scambiati (se siete curiosi e volete controllare da voi, trovate le informazioni per l’annata agricola 2014-2015 in questa pagina della Gazzetta Ufficiale nell’allegato 1, quello con le tabelle di cui stiamo parlando).
Le tabelle si usano così. Rendiamo tutto più comprensibile, e facciamo come i bambini, giochiamo con gli animali: prendiamo il cane, il gatto, la mucca, il maiale e il cavallo. Faccio tre gruppi in base alla somiglianza: nel primo gruppo metto il cane e il gatto, nel secondo il maiale, nel terzo la mucca e il cavallo.
Al fine di “evitare confusione nel consumatore“ è possibile chiamare uno degli animali del gruppo con il nome di un altro animale dello stesso gruppo: posso chiamare, insomma, una mucca cavallo. O un gatto cane. Questo secondo il MIPAAF dovrebbe evitare la confusione.
Tabelle alla mano, cercate quella del gruppo superfino, pagina 2 dell’allegato: vedrete un gruppo contenente il riso Carnaroli, eccellenza di cui l’Italia, primo paese europeo per produzione di riso, va giustamente orgogliosa.
Ecco, tutti i risi presenti nella prima colonna si possono chiamare con il nome dei risi presenti nella seconda. Per cui si può prendere un riso Poseidone, o Karnak, e chiamarlo Carnaroli, anche se Carnaroli non è. Va da sé che Poseidone o Karnak o altre varietà sono meno pregiate, per cui l’industria del riso può acquistarle a minor prezzo rispetto al Carnaroli e venderle come Carnaroli, guadagnando di più.
Ovviamente gli agricoltori non sono contenti di questa legge, che vanifica gli sforzi fatti per una coltivazione di qualità, permette di vendere un riso per un altro e addirittura mescolato, così che chi va a comprare il riso Carnaroli pensa che il miscuglio creato dall’industria del riso sia in realtà vero riso Carnaroli.
Perché accade questo? Perché chi fa le leggi non coltiva riso. Sono avvocati, tecnici, giudici magari bravissimi nel loro lavoro ma che si avvalgono della consulenza di esperti del settore. Agricoltori? No, ovviamente. Le aziende agricole sono tante e piccole, troppo piccole per essere chiamate in causa in decisioni del genere, si chiama invece chi ha un controllo economico maggiore sull’industria, in questo caso le raffinerie di riso.
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Un meccanismo molto diffuso nell’ambito alimentare: i polli Amadori, o AIA, per dire, non vengono allevati dalle aziende, ma da allevatori che poi vendono al macello, proprietà di Amadori o di AIA. Stessa cosa per il mercato del latte, controllato dalle centrali del latte (Parmalat, Granarolo) o della farina, controllato dai mulini. Mai dagli agricoltori o dagli allevatori.
Come possiamo difenderci?
Al momento, ovviamente, non possiamo, perché non abbiamo le basi per poter scegliere un riso piuttosto che un altro nell’ambito dello stesso gruppo, e non le avremo fin quando le cose non saranno scritte chiaramente in etichetta.
Questa non è una legge del 1935 quando ancora c’era il Re, è una legge di fine 2014, quando Expo era ormai alle porte. Vi sembra una legge che, al di là delle tante belle parole spese in nome del Made in Italy alimentare dai nostri politici, tutela il cibo italiano di qualità e valorizza la buona agricoltura?
[Crediti | Link: Dissapore, Rizzoli, Il Giornale]