Da quando il Guardian aveva reso noto l’alfabeto del moderno gastrofanatico la terra tremava, i vulcani eruttavano eccetera. Ora che abbiamo allestito la versione italiana l’invidia si è sopita e gli usignoli hanno ripreso a cantare.
A come… Anonimato.
La querelle continua ad essere dibattutissima: il critico gastronomico deve visitare i ristoranti anonimamente o no? I sostenitori dell’incognito, capitanati da Valerio M. Visintin del Corriere della Sera, sostengono che solo così si possa replicare l’esperienza del cliente medio e quindi fornire un servizio utile. Gli amici degli chef, per esempio il decano Stefano Bonilli, ritengono che palesandosi l’esperienza è nettamente più completa. Nota a margine: il critico anonimo paga sempre il conto.
B come… BBQ.
Tutti pazzi per la griglia: è fai da te, mette allegria ed è simbolo di convivialità. Il BBQ è diventato una scienza più o meno esatta, e sapendo come evitare i pericolosi benzopirene e creosoto si tratta anche di una tecnica di cottura salutare. I non onnivori sono meno discriminati di quanto si pensi: anzi, uno degli ultimi trend è di grigliare anche la frutta, oltre a ortaggi, formaggio, frutti di mare e ovviamente carni. La bibbia in materia è un recente ebook di Gianfranco Lo Cascio, “I segreti del Griller Gourmet”, scaricabile gratuitamente a questo link.
C come… Crudismo.
La tendenza a mangiare cibo crudo muove da più direzioni. Ragioni salutistiche, nutrizionistiche e dietetiche da una parte; un atteggiamento più intellettuale che abbraccia la sostenibilità ed è affascinato dalle suggestioni di un ritorno parziale al cacciatore-raccoglitore dall’altra. Tra diete paleolitiche e celebrazioni gastronomiche del cibo selvaggio, “i fornelli” sembrano non essere sempre la metonimia giusta per parlare di cucina.
D come… Dukan.
Pierre Dukan ha fatto un sacco di danni, e questa frase si può intendere sia seriamente sia in senso ironico. Il nutrizionista francese, autoradiatosi dall’Ordine dei Medici per promuovere la sua controversa dieta, ha fatto impennare la domanda di bresaola fino a farle assumere le proporzioni di una bolla speculativa, mentre i nutrizionisti ancora in grado di esercitare la professione mettono in guardia dai rischi di un abuso di proteine. Il tutto ricordando che non c’è niente di più falso e pericoloso dell’idea che l’importante sia scendere di peso: eliminando il cervello si perde circa un chilo e mezzo. Piuttosto, leggete il contro-testo di riferimento: “10 ottimi motivi per non cominciare una dieta”, della nostra Martina Liverani.
E come… Entomofagia.
Dopo le formiche del Noma, il diluvio. In realtà si era già parlato di insetti nell’alta cucina anche a proposito di un menu sperimentale (mai proposto nel suo ristorante) di Carlo Cracco, ma la cosa fece meno scalpore. Sembra che il popolo consideri l’entomofagia una truffa, gli insetti –che pure sono presenti in tante tradizioni gastronomiche intorno al mondo- come qualcosa di inadatto all’alimentazione dell’uomo civile. Ma biologicamente, quanto distano una locusta e un gamberone? Ve lo dico io, non così tanto. E oltreoceano non c’è niente di più hip che mangiare insetti, e il seguitissimo blog Girl Meets Bug di Daniella Martin lo dimostra.
F come… Finger food.
La tendenza non è di ieri, ma continua ad andare fortissimo. Del resto, il finger food è la più pratica delle soluzioni per un buffet in piedi. L’apogeo è stato probabilmente nell’aprile 2011, al banchetto nuziale di William e Kate, ma la microporzione tiene botta.
G come… Gabriele Bonci.
Ditelo, che quando avete visto la voce alla lettera B pensavate che l’avessi omesso! Impossibile: Bonci, ormai dimagrito abbastanza da assomigliare più a un Daniele De Rossi sotto steroidi che all’omino Michelin, resta una presenza fondamentale anche ben al di là del suo tempio, Pizzarium. Il suo libro “Il gioco della pizza” è stato un successone, e in attesa dell’imminente apertura del forno Baeckerei la formula “cozze e birra” del centralissimo No.Au riscuote successi pressoché unanimi presso i gastrofanatici romani.
H come… Hamburger.
L’hamburger gourmet è la quintessenza del postmoderno gastronomico: il junk food (vedi) diventa cibo di qualità, il basso e l’alto si scontrano alla velocità della luce liberando energia. Distanti dall’ideologia paninara, si esaltano ingredienti di pregio assemblati in una forma rassicurante (vedi alla voce Comfort Food) e pratica. Anche qui ci siamo prodotti in una top ten, stavolta nazionale, che mostra un certo sbilanciamento verso l’asse Milano-Torino, pur con qualche eccezione degna di nota. Ma l’importante è notare come il concetto “se è buono, puoi metterlo tra due fette di pane” sia consolidato.
I come… Impatto zero.
Se c’è una persona che voglio vedere di più in televisione è Lisa Casali, non solo perché è una bella ragazza; va comunque detto che è già ben presente nella programmazione del piccolo schermo, il che è cosa buona e giusta. La sua immagine fresca e naturale allontana il mondo del cibo dagli snobismi e dal patinato, e la riconcilia con il senso pratico; cucinare gli avanzi non è mai stato coì hip, fa bene all’immagine e al portafogli. A proposito, complimenti a un piccolo editore come Gribaudo, che quest’estate ha pubblicato Ecocucina, opera terza della Casali, per essere fin qui riuscito a tenersi stretto questo talento.
J come… Junk food.
Il cibo spazzatura sta attraversando quello che, un po’ ossimoricamente, possiamo definire un salutare rinnovamento. Da una parte è finito –-con le bevande gassate e zuccherate– nel mirino dei governi in cerca di nuovi balzelli impopolari ma non troppo. Dall’altro si assiste all’irresistibile ascesa del “finto junk food”, che di quello vero ha la forma ma non la sostanza: si pensi soprattutto alle chips artigianali di patate.
K come… Km zero.
Per alcuni uno stile di vita, per altri un concetto interessante, per qualcuno una grande truffa. I suoi benefici continuano ad essere controversi, la nostra Camilla Baresani l’ha definito un’effimera certezza, ma quella ben radicata è che tutti, dai “nostri dipendenti” (i politici, secondo una bella definizione di Beppe Grillo risalente a qualche anno fa) in giù, continuano a parlarne in modo ossessivo. Attualissimo il suo discuterne i pro e i contro dal punto di vista del carbon footprint, o delle emissioni di anidride carbonica per i chilometristi zero del linguaggio.
L come… Low cost.
Ogni volta che affrontiamo l’argomento denaro veniamo seppelliti da una valanga di commenti. Cartina di tornasole della crisi. Mentre si moltiplicano le guide che suggeriscono come mangiare bene con meno di (inserire cifra ragionevole) euro, non sempre mantenendo le promesse, lo chef più di tendenza del momento è probabilmente Davide Oldani. Belloccio ma non necessariamente simpatico, portabandiera della cucina pop, un menu prandiale a 11 euro e 50 al suo ristorante, il D’O di Cornaredo, e una lista d’attesa dalla Terra alla luna e ritorno per sedere alla sua mensa.
M come… Masterchef.
Dopo il grande successo della prima edizione, il miglior programma di cucina made in Italy viene promosso su Sky 1, e verrà trasmesso dopo la fine di X Factor, gennaio quindi. Inutile esortarvi a seguire queste pagine per quello che è il nostro blockbuster, il liveblog a cura di Sara Porro: lo farete comunque. Nel frattempo, ho perso i conti di quanti ex concorrenti sono riusciti ad intraprendere la carriera di chef: a occhio, quasi tutti quelli che hanno raggiunto le ultime fasi, senza contare i libri (oltre a quello del vincitore Spyros, ad esempio, anche quello di Imma ha avuto eccellenti riscontri).
N come… Noma.
Il pomo, anzi il lichene della discordia: per la World’s 50 Best (vedi) questo ristorante di Copenhagen è il migliore del mondo, e il suo chef, Renè Redzepi, è più o meno universalmente considerato un genio. La nuova cucina scandinava spinge forte sugli ingredienti locali e spontanei, si utilizzano insetti, muschi e licheni, erbe selvatiche in abbondanza. Una cucina molto distante dalla nostra, un modello non necessariamente esportabile. Un bluff per qualcuno: lo sostengono soprattutto quelli che non ci hanno mangiato e giudicano da foto e nomi dei piatti.
O come… Orto urbano.
Se non ce l’hai sei out: ormai sono passati più di tre anni da quando Michelle Obama ha allestito un orto alla Casa Bianca, e il suo libro sull’argomento uscito qualche mese fa, “American Grown”, è stato un successone. Non ci sono scuse: si può fare parecchio anche in poco spazio, i negozi di ortaggi ed erbe aromatiche ad uso e consumo degli orti urbani sono spuntati come funghi e la letteratura in materia, al di là della first lady americana, è ampia.
P come… Pizza.
Tradizionale o gourmet, è sempre tra gli argomenti più dibattuti. Non servono investimenti economici per provare i migliori pizzaioli della propria zona, così la discussione sui maestri italiani della pizza si infiamma. Dalla Campania, i pizzaioli residenti di altre regioni vengono guardati con un certo sospetto, ma locali come Sforno (Roma) e Tric Trac (Legnano) mettono d’accordo tutti. Ma inevitabilmente, più si va verso pizze “eretiche”, che nei casi più estremi sono veri e propri piatti d’alta cucina serviti sopra un disco di pasta lievitata, più i toni si infiammano.
Q come… Quadrato semiotico.
E’ il fenomeno di costume intellettuale del momento, la versione colta della frangetta. Quelli del blog Squadrati hanno iniziato con Milano, da lì il diluvio, ogni città con la mappa dei locali ordinati per appartenenza socio-politico-culturale. E dopo i locali, quadrati semiotici per tutto, dal cinema alle prospettive dei giovani. Inevitabilmente dovremo farne uno della cucina italiana.
R come… Renzi.
Mai gli italiani sono stati così stufi della politica, mai c’è stato così tanto spazio per personaggi nuovi. Matteo Renzi è giovane, e ha la faccia abbastanza pulita perché più di qualcuno possa fargli largo. E mentre alcuni sondaggi danno il sindaco di Firenze favorito su Bersani alle primarie del Pd, questi ci concede un’intervista dal percepibile tasso di gastrofanatismo. Siamo lontani dalla classe foodie al potere, ma non stiamo nemmeno a zero.
S come… Scalogno.
Se vuoi fare il figo devi usarlo, o almeno così sostiene nel titolo il nuovo libro (in uscita domani, 19 settembre) di Carlo Cracco, oggi lo chef che ha meno bisogno di presentazioni in Italia assieme a Vissani e al suo maestro Gualtiero Marchesi. A me sembra che uno chef del livello di Cracco stia abdicando alle luci della ribalta, frivolo incluso. E da lì, in genere, è difficile tornare sui fornelli. Fermo restando che forse si poteva pensare un titolo più felice.
T come… Twitter.
I cinguettii foodie sono ormai assordanti, dagli chef più o meno famosi ai semplici avventori di ristoranti più o meno blasonati. Dialogo e condivisione sono le parole d’ordine, non esistono più barriere, e qualsiasi appassionato può ritrovarsi a scambiare due chiacchiere con @massimobottura. E’ il #villaggioglobale, baby.
U come… Utensili alternativi .
In principio fu il sifone, poi la praticità prevalse sull’estro e tutti (noi compresi) a chiedersi se il Bimby vale le 900 cocuzze. In tempo di crisi, l’utensile da cucina è a costo zero o giù di lì. Gabriele Bonci stira le seppie al No.Au., gli attrezzi magici di Mustafà, rinfrescante sensation della scorsa primavera, vengono via con cinque euro a Porta Portese e Lisa Casali (vedi alla voce Impatto Zero) ha esaltato in uno dei suoi libri l’arte della cucina con la lavastoviglie. La necessità aguzza l’ingegno.
V come… Vannulo.
Il dibattito sulla pizza è anche, giocoforza, sulla mozzarella. Le due grandi scuole sono Caserta e Battipaglia; alla seconda fazione appartiene il mitico caseificio Vannulo di Capaccio Scalo, punto di non ritorno della mozzarella di bufala. Un prodotto reso ancor più esoterico dall’impossibilità di ottenerlo se non lo si acquista in loco, possibilmente arrivando la mattina abbastanza presto ché la mozzarella finisce in fretta. Fondamentale anche lo yogurt fatto con il latte di bufala.
W come… World’s 50 Best.
Fuori le guide, dentro le classifiche: fra gastro-introdotti “i migliori ristoranti del mondo” sono quelli elencati nella S. Pellegrino World’s 50 Best Restaurant, guida controversa quanto popolare che il vero fissato manda a memoria come un mantra. Non paghi di Masterchef, abbiamo livebloggato pure quella.
X come… X Factor.
No, non lo guardo in attesa che cominci Masterchef. La mia è un’osservazione sul lessico dell’alta cucina: sempre più spesso il criterio con cui si distingue un bravo chef da uno grande è che il secondo “ha l’X Factor”. In cosa questo consista è tutto da discutere.
Y e T come… Yelp, Tripadvisor e i loro fratelli.
Siti che valutano ristoranti e alberghi, oggetto di infinite polemiche. Perché non tutte le recensioni sono autentiche, alcune sono scritte apposta per incensare i propri locali o denigrare quelli della concorrenza, non è possibile capire se la tal persona ha davvero mangiato nel tal ristorante o no. Eppure continuano ad essere immensamente popolari, nonostante la scarsissima affidabilità. E ribadisco scarsissima: voglio dire, questi, secondo Tripadvisor, sono i migliori dieci ristoranti di Roma.
Z come… Zenzero e Zafferano.
Due spezie che richiamano i nomi di due tra i blog di cucina più seguiti, Un tocco di zenzero e Giallozafferano. Le tenutarie, Sandra Salerno e Sonia Peronaci, sono i punti di riferimento per un’intera generazione di foodblogger, laddove “foodblogger” è nome femminile. Loro sono quelle che, partendo da zero, ce l’hanno fatta, da sole. Il modello che ricorda che se ci sono capacità, buona volontà e passione, si può fare della propria vita ciò che si vuole.
[Crediti | Link: Guardian, Dissapore immagine: Rene Redzepi/Twitter]