Le cene con delitto non sono prerogativa unica dei ristoranti. Tutti, prima o poi, dobbiamo fare i conti con un invito a cena dell’amico di turno non proprio ferrato sulla gastronomia. Succede che, se l’amicizia é consolidata e datata, fin dall’invito sapete cosa vi aspetterà e di che morte dovrete morire seduti a quel tavolo.
Ma ci sono anche situazioni meno famigliari, dove la speranza di trovare qualcosa di mediamente buono brilla nella nostra mente da gourmet. É proprio in una di queste situazioni che tutti, prima o poi, ci siamo trovati invischiati.
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A volte mi è capitato di mangiare pasta gamberetti e zucchine facendo finti complimenti per gentilezza, altre volte di trovarmi alle prese con torte salate ignobili alle quali sorridere senza troppa convinzione. C’è chi in cucina se la cava e chi no, la questione potrebbe finire qui senza troppi fronzoli.
Ma non è solo questo.
A mettere davvero in difficoltà è l’espressione del giudizio, perché a ogni portata della cena veniamo chiamati ad esprimerci sul risultato della pietanza rivista e reinterpretata dai nostri amici. Personalmente ho imparato a rifugiarmi in una serie di frasi fatte per dissimulare il mio sgomento e rinfrancare il padrone di casa, anche quando sarebbe meglio si desse all’ippica.
Eccone alcune.
Davanti ad una padrona di casa che ha preparato un dolce con la pasta di mandorle con le sue manine, e il medesimo somiglia troppo a della saponetta: “Grazie, per me basta. Sai oggi in pausa pranzo ho mangiato anche le melanzane alla parmigiana del mio collega, mi dispiaceva che le buttasse”
Davanti ad un’etichetta di vino imbarazzante, con indicazioni geografiche vaghe: “No, grazie. Non bevo più rosso dopo una sbronza di Nero D’Avola quando avevo 18 anni.”
Se qualcuno porta in tavola la sua crostata indecentemente plutonica, l’unica cosa da fare è: “scusa, mi piace molto, ma è scattata la mezzanotte e da oggi sono a dieta! Che peccato!”
“Eccovi il gran finale: il limoncello che faccio io in casa”. La risposta giusta, visto che 8 volte su 10 il limoncello dei miei conoscenti risulta orribile, è una sola: “basta così, devo guidare e sotto casa c’è sempre il posto di blocco. Proprio non posso.”
Se poi vi offrono un tentativo di lonza di maiale troppo rosa, preoccupantemente ancora rosa, questa è la risposta: “sto cercando di diventare vegetariana, é durissima, ma tengo duro.”
Come rifiutare il tortino al tofu e rabarbaro della padrona di casa vegana? “Grazie, io salto. Una volta in un all you can eat sono stata male. Non che sia stata colpa del tofu, ma lo avevo mangiato e mi é rimasto questo brutto ricordo. Sai, non ce la faccio.”
Nel caso il fritto misto al primo assaggio risultasse una sorta di gomma da masticare, potete sempre cavarvela in questo modo: “scusatemi, ma mi sono venute in mente delle immagini che ho visto oggi su internet del calamaro gigante…”
Quando vi offrono i pizzoccheri e capite che sono pronti dall’avviso tintinnante del microonde, potete sempre dire che “scusami, mi sono dimenticata di dirti che sono allergica al Bitto. Mi sono detta che non avresti mai preparato qualcosa col Bitto, che stupida.”
“Com’era il risotto? Ti é piaciuto?”, “sì, buono. Io preferisco la pasta, ma non era male. Davvero, ne ho mangiati di peggiori.”
Negare sempre l’evidenza quando assaggiate qualcosa che capite da subito che non fa per voi e l’espressione che avete appena fatto è difficilmente dissimulabile: “incredibile, non ci crederai ma era un secolo che non lo mangiavo. Figurati che mi ero persino dimenticata il sapore!”
Ultimo consiglio. Se volete bene al vostro amico negato, o se capite che il rapporto potrebbe avere un futuro, iniziate con l’arte del contagocce la difficile missione di far percepire che qualcosa non è andato come doveva durante la cena:
“la prossima volta vieni tu da me: ti faccio lo stesso piatto ma con la ricetta di mia nonna.
Quella buona. Buonanima, cioè.”