La nostalgia è un sentimento nobile. Assomiglia alla malinconia ma in senso ottimista: ci riporta indietro nel tempo scegliendo ciò che ci piace ricordare. Ma è pure un esercizio di ricostruzione, specie per chi i “vecchi tempi” non li ha vissuti.
Per me gli anni Ottanta sono Boldi, De Sica e Jerry Calà che fanno battute che non fanno ridere (però il suo “libidine” l’abbiamo ripreso nel titolo). La tivù berlusconiana, la musica che prima era bella, poi era brutta e ora è di nuovo bella. E copiata. Però il meglio me lo sono perso. Ovvero il fermento gastronomico! C’erano allora, da Nord a Sud, chef che sperimentavano, scoprivano, innovavano. Giovani pionieri che hanno impresso il senso di marcia a chi è venuto dopo.
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Così, dopo aver tirato fuori dall’armadio gli scheletri culinari degli anni Ottanta, mi sono spostata sull’alta cucina rievocando gli 8 piatti simbolo degli anni Ottanta con l’aiuto di Cronache Golose, (Slow Food Editore). Anno più, anno meno, si capisce.
1. RISOTTO CON FOGLIA D’ORO
GUALTIERO MARCHESI
Per la storia della musica (e del costume) il 1977 è stato l’anno del punk. Per la storia della gastronomia italiana è stato l’anno dell’apertura del ristorante di Gualtiero Marchesi, in un seminterrato di via Bonvesin de la Riva. Un anno dopo il punk era già finito e Marchesi aveva preso la prima stella Michelin. Nel 1986 la triade era completata.
Per il Grande Maestro della cucina italiana (titolo che nemmeno il panino con Mc Donald’s e qualche leggerezza senile è riuscito a togliergli) sono anni d’oro. Nel senso letterale del termine: il piatto più rappresentativo è il suo risotto allo zafferano con foglia d’oro. Creato intorno al 1981/1982, il segreto della sua fama ve lo svela Marchesi in persona, in questo video:
2. PASSATINA DI CECI E GAMBERI
FULVIO PIERANGELINI
Il Gambero Rosso, invece, aprì l’8 marzo del 1980: l’inizio di un decennio di successi. Uno dei quali è proprio la passatina di ceci con gamberi. Nato casualmente una sera del 1986 per mano di Fulvio Pierangelini, è diventato uno dei piatti più ripetuti, copiati e reinterpretati di sempre.
Il Gambero Rosso ha chiuso nel 2008 lasciandosi dietro un’aura leggendaria e l’impossibilità di assaggiarlo. Però potete rifarlo a casa:
Per 4 persone:
un etto di ceci secchi
8 etti di gamberi
uno spicchio di aglio
un rametto di rosmarino
olio extravergine di oliva
sale, pepe nero
Lasciate i ceci in ammollo per 12 ore, sgocciolateli, sciacquateli e cuoceteli in abbondante acqua salata e profumata con l’aglio e il rosmarino per 40 minuti.
Al termine della cottura scolate i ceci e passateli al setaccio fine (alcuni allievi di Pierangelini riferiscono che la crema va montata con un frullatore a immersione aggiungendo a filo l’olio).
Sgusciate i gamberi, togliete l’intestino dal dorso e cuoceteli al vapore. Disponete la passata di ceci in piatti fondi e adagiatevi alcuni gamberi. Condite con un filo di olio, salate e pepate a piacere.
3. VESUVIO DI RIGATONI
ALFONSO IACCARINO
Sono passati vent’anni esatti da quanto, a Sant’Agata dei Due Golfi, i giovani sposi Alfonso e Livia Iaccarino aprirono il Don Alfonso 1890. Una cucina calda e solare, la loro, imprescindibilmente mediterranea.
Come il piatto simbolo del ristorante, il Vesuvio di rigatoni. Che nome, che opulenza: altro che minimalismo. Un tripudio di sapore che potete provare a ricreare con questa ricetta, magari ascoltando “Far Beyond The Sun” di Yngwie J. Malmsteen.
4. SPAGHETTI SENATORE CAPPELLI CON CIPOLLOTTO E PEPERONCINO
AIMO MORONI
Questo l’ho assaggiato! O meglio, ne ho assaggiato una versione alternativa fatta da Alessandro Negrini durante un evento a ristorante stella Il povero diavolo di Torriana. Ora è lui, insieme a Fabio Pisani, a reggere le fila della cucina di Il Luogo di Aimo e Nadia.
Il ristorante ha ormai 50 anni di storia, il suo piatto simbolo una trentina. Old but new. Se vi state chiedendo come riprodurli ve lo spiegano loro:
Per 4 persone:
300 g spaghettoni di Benedetto Cavalieri
300 g cipollotto di Tropea pulito
100 g pomodorini ciliegia di Pachino
2 spicchi di aglio
2 foglie d’alloro
1/2 cucchiaino di peperoncino fresco tritato
5 foglie di basilico
1 cucchiaino di prezzemolo tritato
le foglie di un rametto di timo fresco
200 ml brodo vegetale
6 cucchiai di olio extra vergine di oliva
20 g parmigiano Reggiano stravecchio grattugiato
sale marino integrale q.b.
Tritare l’aglio. Tagliare i cipollotti a striscioline sottili.
In un tegame ampio scaldare a fuoco dolce 3 cucchiai di olio con l’alloro; unire l’aglio e i cipollotti e cuocere a fuoco dolce e scoperto per circa 15 minuti, bagnando di tanto in tanto con poco brodo. Togliere dal fuoco, unire il peperoncino e le foglie di timo. Aggiustare di sale.
Tagliare a metà i pomodori, togliere i semi e tagliarli a cubetti.
Cuocere gli spaghetti in abbondante acqua salata, scolarli al dente e unirli al condimento (circa 70-80 g di condimento per persona).
Insaporire la pasta a fuoco vivace per un minuto, unire i filetti di pomodoro e il prezzemolo, poi il parmigiano e amalgamare bene il tutto. Aggiustare di sale e peperoncino e togliere dal fuoco.
Servire in piatti caldi completando con il basilico tagliato a striscioline disposto sulla pasta e il resto dell’olio a filo.
5. SCALOPPA DI FEGATO D’OCA TARTUFATA
IGLES CORELLI
Se non sei mai stato al Trigabolo non hai visto niente, si dice. La spocchia dei privilegiati non ha mai fine (sì, sono invidiosa e colma di collera). Aperto nel 1983 e chiuso dopo soli dieci anni, il ristorante di Argenta è un po’ come gli Europe: imperversava talmente tanto da essere entrato nel gotha della gastronomia.
Nelle sue cucine si muovevano Bruno Barbieri (molto prima di Masterchef), Italo Bassi, Marcello Leoni, Igles Corelli. Quest’ultimo ha prodotto un piatto che mi piace pensare abbia ispirato il Keyser Söze de I Soliti sospetti, visto che non se ne hanno immagini, ricette o dettagli precisi, ma la cui esistenza passa di bocca in bocca come una leggenda: scaloppa tartufata di fegato d’oca.
6. AGNOLOTTI AL PLIN
LIDIA ALCIATI
Ah le Langhe! Ora dicono tutti così ma la grande rinascita doveva arrivare. A questa ha contribuito Lidia Alciati i cui piatti sono diventati la pietra di paragone della cucina langarola.
Anche questo ristorante nasce da una storia d’amore, quella tra lei e Guido che nel 1961 aprono Guido a Costigliole d’Asti. Lei è scomparsa nel 2010, la si può ricordare riproducendo il piatto per cui il Los Angeles Times l’ha incoronata “agnolotti queen”:
Per 6 persone:
Per il ripieno
1 carota
1 cipolla
150 g di lonza di maiale
100 g salsiccia
200 g di arrosto di sottopaletta di vitello
200 g di scarola verde
100 g di spinaci
4 uova
50 g di Parmigiano Reggiano
20 g di burro
50 cl di olio extravergine di oliva
sale e pepe
Per la pasta
500 g di farina
11 tuorli
10 g olio extravergine d’oliva
3 g sale
80 -100 g di acqua fredda
semolino q.b.
Per il ripieno
Soffriggete nell’olio la carota e la cipolla tagliate a tocchetti. Aggiungete la lonza di maiale facendola dapprima dorare a fiamma vivace e poi arrostendoli a fuoco basso. Verso metà cottura aggiungete l’arrosto di sottopaletta, la scarola e gli spinaci.
Coprite e cuocete per almeno 2 ore. Lasciate raffreddare. Nel frattempo fate restringere il sugo di cottura, filtratelo e tenetelo da parte in un padellino.
Tritate le carni finemente. Unite al composto le uova e il Parmigiano grattugiato, aggiustando di sale e pepe.
Per la pasta
Setacciate la farina sulla spianatoia, create un incavo e mettevi all’interno i tuorli e l’acqua. Lavorate energicamente finché non avrete ottenuto un impasto liscio e omogeneo. Copritelo con un panno umido e lasciatelo riposare per circa mezz’ora.
Staccatene un pezzo e passatelo nella macchina per fare la pasta iniziando dallo spessore più alto per arrivare a quello più basso e sottile. Una volta pronta la striscia, stendetela sull’asse e cominciate a deporre dei mucchietti di ripieno su un lato della striscia, mettendoli a distanza di 2-3 cm l’uno dall’altro. Coprite con il lembo di pasta rimasto libero e fatelo aderire bene.
Usando la rotella dentata, tagliate prima per il senso della lunghezza tutta la fila degli agnolotti ottenuti e poi separateli singolarmente. Ora saldate gli agnolotti uno per uno con un pizzicotto: il famoso “plin”. In attesa di cuocerli sistemateli su un canovaccio leggermente spolverizzato di semolino.
Lessate gli agnolotti in acqua bollente salata per circa tre minuti e mezzo, scolateli e saltateli nel sugo di arrosto, tenuto da parte, con il burro.
Potete servirli in un tovagliolo o in un piatto con un tovagliolo, semplicemente fatti cuocere nel brodo di carne e scolati.
7. RAVIOLO APERTO
GUALTIERO MARCHESI
Ritorniamo da Gualtiero Marchesi, al suo apice nel decennio dell’edonismo (anche gastronomico). Da via Bonvesin de la Riva si dedicava all’arduo compito di smarcare la nostra cucina da passatismi e regionalismi. Parola d’ordine n.1: niente pasta nel senso tradizionale del termine. E quindi via al risotto, o al raviolo aperto.
L’attenzione all’estetica è data dalla sfoglia di prezzemolo, impressa come una stampa sulle due sfoglie. I dettagli della preparazione, invece, ve li dà Marchesi. Sempre in video.
8. SPAGHETTI ALLA LAMPADA
ANGELO PARACUCCHI
Un po’ come un bootleg autorizzato, nella Locanda dell’Angelo era tradizione finire i piatti in sala. Angelo Paracucchi prendeva gli ingredienti semilavorati dalla cucina e finiva le preparazioni davanti agli ospiti, che lo ammiravano far saltare gli spaghetti su due padelle contemporaneamente. Barocchismo? Suvvia, erano gli Anni Ottanta!
La chiave era la freschezza assoluta di pesci e crostacei – ma chissà, forse anche la lampada in questione. Che era una Alessi, disegnata per lui e ancora presente nel ristorante. Andiamo in pellegrinaggio? Altro che cooking show!
E’ qui che scatta la condivisione da bravi fratelli dell’Internet. Chi pensa che in questa lista manchino piatti simbolo degli anni Ottanta nei ristoranti stellati parli ora e mai più. Lasciate correre i ricordi, questo è lo spazio Vintage di Dissapore. Avete per caso una foto dell’epoca?
[Crediti | Link: Slow Food, Terra Madre, Italia Squisita, Aimo e Nadia, Il Sole 24 Ore | Immagini: Klot Magazine, Aimo e Nadia, Identità Golose, Sapori del Piemonte, Luciano Pignataro]