Tempi duri: si va al ristorante per mangiare l’hamburger gourmet. Ma con la pizza sotto attacco e il portafogli vuoto i panini restano l’ultimo baluardo prima del buffet asiatico mangi-tutto-a-9-euro-e-90.
Però, che effetto farebbe una paninoteca gourmet se invece di hamburger, kebab e falafel servisse pane carasau, focacce liguri, piade e panini con le frattaglie? Un successo? Chissà, per il momento pare che nessuno ci abbia pensato. Occhio però: se vi abbiamo dato l’idea allora parliamo del copyright.
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Che vogliate essere il magnate dello street food all’italiana o più semplicemente, che abbiate voglia di rinnovare la triste schiscetta a base di insalata in busta che anche oggi porterete in ufficio, ma non con il panino zozzone della notte, eccovi una lista dei bei tempi andati quando il “panino” non era ricoperto di semi di sesamo e riempito con una bistecca di carne macinata. (disclaimer: il trait d’union della lista sono i grassi insaturi).
Chissà quanti ce ne siamo dimenticati, ma come sapete, una mano da voi è sempre gradita (specie se porge un panino).
Con la milza.
Dall’Antica Focacceria San Francesco con amore. Il pane con la milza non vi regalerà un pomeriggio di leggerezza, ma promette, già al secondo morso di assicurarvi una certa felicità.
Di questi tempi è un’ottima promessa.
Col lampredotto.
Il piacere di questo panino unto e scivoloso è quello di descrivere, all’ignaro commensale – almeno finché non ha dato l’ultimo morso, l’aspetto e le nobili gesta del lampredotto, agile abitatore dei boschi dell’appennino toscano.
A panino finito però ditegli la verità.
Con la porchetta.
Trevisana, romana, ma soprattutto umbra.
Il panino con la porchetta permette di raggiungere l’illuminazione quando la cotenna del maiale, croccante, finisce sotto ai denti assieme al pane.
Con la salamella.
Variante della soppressa, la salamella è troppo grassa per essere consumata sola.
Per questo la si spalma abbondantemente sul pane fino a farla debordare.
Con la frittata.
Un classicone del cibo da asporto low cost.
Disponibile in infinite varianti che dipendono dalla latituidine e dalla stagionalità: frittata di zucchine, di patate, di cipolla, di asparago selvatico, di ortica…
Focaccia di Recco.
Già di per sé la focaccia ligure dovrebbe essere annoverata tra le meraviglie del mondo, ma quella ripiena di formaggio ha un non so che di civettuolo.
Irresistibile.
Frisella coi pomodori.
E con la cipolla cruda, con le fave fresche, coi lampascioni, o con il crudo e i fichi schiacciati sul pane.
L’almanacco delle friselle potrebbe costituire da solo il menu di un McDonald del Tavoliere.
Schizzotto con la soppressa.
Specialità dei colli Euganei ancora troppo poco conosciuta altrove.
Trattasi di un pane basso e morbido, da tagliare a losanghe quando è ancora caldo e da riempire di soppressa, quella fresca quasi spalmabile. Meglio se con l’aglio.
Tigella con il pesto.
Il pesto in questione altro non è che un battuto di lardo, rosmarino, aglio e sale che, nella tigella calda un po’ si scioglie.
Mai concedere tempo al lardo: per fargli pagare quello che farà alle vostre arterie va ingurgitato a grandi bocconi prima che cominci a colarvi sulla manica.
La piada.
Fino all’ultimo sono stata scettica se la piada potesse entrare in questo gruppo o fosse già stata contaminata dalla moda dello street food gourmet.
Poi ho deciso: i meriti accumulati sul campo, soprattutto della capofila crudo e squacquerone, sono troppi per poterla ignorare.
Pane carasau.
Da solo, condito con l’olio, usato per fare la scarpetta al sugo, accompagnato al pecorino come farebbe un pastore.
E’ una di quelle varianti regionali di cui lo stivale non ha ancora saputo appropriarsi a dovere.
[foto crediti: flickr , scatti di gusto, peperblog, donna moderna, tipicamente, lingeno, coockthelook, pianeta donna, ristorante le ghiane]