Quattro giorni a Shanghai, Cina. Per un civile, sarebbero al massimo 12 pasti. Ma io sono un soldatino. Quindi, ecco qui le 10 cose più buone mangiate.
1. Ravioli, Din Tai Fung.
Ovvio che mi piacerebbe consigliare i migliori xiaolong bao di Shanghai indicando un oscuro baracchino collocato nel retrobottega di una fumeria d’oppio. Invece, i ravioli più buoni della città vengono serviti in una qualsiasi delle 5 sedi di questa catena sorta a Taipei 30 anni fa. Dietro una grande vetrata, una perfetta catena di montaggio lavora al confezionamento di ogni singolo raviolo: il primo cuoco stende la pasta, il secondo distribuisce il ripieno, il terzo sigilla (Avrei voluto testimoniare la loro perizia con una foto, ma quando mi hanno visto avvicinarmi con la macchina fotografica si sono messi in posa facendo la “V” di vittoria).
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Tecnica corretta: nel piattino, mescolare 2/3 di salsa di soia con 1/3 di aceto. Prendere con le bacchette un raviolo, intingerlo nella salsa, metterlo sul cucchiaio. Forarlo con una bacchetta così da lasciare uscire il brodo. Mangiarlo. Careful when hot.
2. I baozi con verdure e funghi, Bi Feng Tang.
Anche Bi Feng Tang è una catena, che propone cibo cantonese. Il cibo è okay – non stellare, ma buono. Si va sul sicuro con i baozi: paninetti al vapore di pasta lievitata, ripieni di carne o verdure. Quando sono grandi, e allora si chiamano dabao, sono in genere un cibo da strada.
Quelli piccoli, o xiaobao, si trovano al ristorante. Si intingono nella soia o nell’aceto. Potenziale di comfort food: stellare.
3. Bo Luo Bao, di nuovo Bi Feng Tang.
Il Bo Luo Bao (e questo è il nome corto. C’è anche un nome lungo, ovvero Bing Huo Bo Luo You) è un piatto tradizionale di Hong-Kong. Sorta di pan brioche ricoperto di glassa, viene portato in tavola tiepido, tagliato a metà e con una spessa fetta di burro al centro. Il Bo Luo Pao cede calore, il burro si scioglie, il commensale lo mangia, non senza rivolgere un pensiero alle proprie coronarie.
L’effetto è quello che si avrebbe scaldando un Buondì Motta in forno e servendolo con del burro in centro. Certo, stomachevole, ma tutto sommato.
4. La rana toro, Ristorante Sichuan Citizen.
“Questo qui, 牛, è l’ideogramma del bue… quindi questo dovrebbe essere manzo”, ho annunciato. In tavola è giunta un’enorme zuppiera contenente uno stufato di rana toro. Pro: la rana toro ha un sapore del tutto accettabile. Contro: la rana toro, in vita, ha questo aspetto.
Gli ossi della rana toro sono, anatomicamente, del tutto simili a quelli di una ranocchia, ma enormi. È subito costata di brontosauro dei Flintstones.
5. Il tè Rougui, Oolong di montagna.
Di tanto in tanto, mi dico che la quadratura del cerchio per scrivere di gastronomia senza pregiudicare la mia salute sarebbe specializzarmi in tè: gradevolmente sofisticato, infinitamente complesso, meravigliosamente sfaccettato, ma soprattutto senza alcol né calorie.
E la Cina è il posto giusto per approcciare la ricchissima cultura plurisecolare del tè, come ho fatto trascorrendo alcune ore indolenti bevendo un eccellente Rougui, pregiato Oolong di montagna…
6. Martini Cocktail, 1515 West, Chophouse & Bar.
… subito prima di essere assalita da un radicale senso di ennui, che sono andata a combattere sedendomi al bancone del 1515 West, Chophouse & Bar, locale in stile speakeasy all’interno del nuovo Shangri-La di Jing An.
L’impeccabile Martini Cocktail del mixologist italiano Dario Gentile mi ha fatto rinsavire dalla deriva astemia.
7. Kai-Lan, o anche broccolo cinese, di nuovo Bi Fen Tang.
Il Kai-lan è il nome cantonese di un ortaggio con foglie verde-blu spesse e piatte, e minuscole infiorescenze che ricordano i broccoli. Anche il sapore è simile, ma leggermente più amaro. Le verdure in Cina sono sempre servite poco cotte, croccanti e di un bel verde brillante, cioè come sempre dovrebbero essere.
Inoltre, il kale ormai è mainstream, il Kai-Lan è indie (a volte è importante non rileggere ciò che si scrive, per tanta pace interiore in più).
8. Salsa Aioli, Mr. & Mrs Bund.
La prima volta che visitai la Cina, nel 2006, arrivai a Pechino dopo un lunghissimo viaggio con scalo a Budapest (grazie, Malev Airlines). Dall’aeroporto presi un taxi, andai in università a iscrivermi, poi cominciai a cercare un appartamento nei dintorni della facoltà. Poi andai a cena. Poi andai a ballare al (terrificante) club Banana. Lì, alle 3 del mattino ora di Pechino, mentre ero ormai in uno stato di prostrazione fisica totale, partì l’intramontabile “Lamette” di Donatella Rettore. Sul mio volto comparve l’espressione che hanno, nelle schede di Chi l’ha Visto, gli anziani usciti di casa in ciabatte.
Un po’ così è stato mangiare nello splendido Mr. & Mrs. Bund, ristorante dello chef francese Paul Pairet. Nonostante la vista sul Bund, il lungofiume di Shanghai, era difficile credere di non essere in Provenza.
9. Oyster [2] Caviale – Pepe – Limone – Mare, Ultraviolet by Paul Pairet.
Al quinto piatto del menu degustazione di Ultraviolet, prima dei successivi 17, ero felice e entusiasta. L’ostrica pare chiusa, ma si spalanca battendo sul guscio con un coltello. Sotto, un primo strato di ghiaccio tritato sa di mare e di sorbetto al limone.
Ancor più sotto, l’ostrica cruda e il caviale.
10. Gelato al tè verde, Jing-An Shangri-La.
La sontuosa colazione pan-continentale (nel senso che è una colazione adatta in tutti i continenti) dell’hotel Shangri-La di Shanghai costituisce un esperimento scientifico per testare ciò che viene clinicamente descritto come “imbarazzo della scelta”. Omelette, salmone affumicato, croissant, muffin al cioccolato e frutta tropicale sono tutte opzioni eccellenti ma l’angolo del gelato si è mostrato una tentazione irresistibile.
Gelato a colazione: un sogno d’infanzia che si avvera. In fondo siamo adulti, è il nostro turno di decidere cosa significa.
[Crediti | Immagine: Flickr/Wandermelon]