Giugno 2000. Sul comodino, in borsa, ovunque. La lettura di “Una cosa divertente che non farò mai più” di David Foster Wallace è una folgorazione.
16 anni dopo, al porto di Venezia in una mattina di settembre, di fronte a me si staglia un colosso del mare.
Il colosso si chiama Vision of the Seas e fa parte delle navi da crociera della compagnia Royal Carribbean.
Dopo averlo fatto con un treno (Orient Express), sono pronta a essere inghiottita dalle sue cucine per qualche ora.
Scopo della visita è capire appunto com’è organizzata la cucina, o meglio le cucine, di una nave da crociera.
Perché se a quasi tutti è capitato di fare una vacanza navigando tra i flutti, trascorrendo il tempo tra lettini allineati al sole, attività ludico/ginniche di animatori abbronzati ed entusiasti, e grandi mangiate spesso accompagnate da scontri bellici in caso di buffet, più difficile è riuscire a aggirarsi tra ponti, ascensori seminascosti, scalette minuscole e pentoloni fumanti.
Vision of the Seas è una nave piccola: 78.000 tonnellate di stazza lorda, 279 metri di lunghezza, 32 di larghezza, 11 ponti, 8000 mq di coperture in vetro, 5 spazi di ristorazione, solarium con piscina interna, parete di arrampicata, Spa, fitness center, pista da jogging, casinò, teatro e circa 800 persone di equipaggio.
Piccola? Il motivo è presto detto: con una capacità ospiti di 2.435 passeggeri, rispetto alle sorelle maggiori in grado di portarne fino a 4000 o 5000, è appunto considerata una nave contenuta.
Se di fronte a una stazza del genere e al timore di passare la vacanza cercando di orientarsi tra ponti, scalinate, corridoi e cabine il primo pensiero è quello di localizzare la scialuppa di salvataggio più vicina e scendere, la salvezza si materializza subito nelle forme dell’executive chef di bordo.
Sorriso cordiale, stretta di mano vigorosa, il capo supremo della ristorazione navigante è Donna Horlock, una gentile quanto quadrata chef inglese.
Seguirla mentre spiega com’è organizzato il servizio di ristorazione a bordo, impartendo contemporaneamente ordini agli chef, controllando il livello di pulizia del pavimento e dando un occhiata alla cottura delle zuppe, fa dubitare che sia un robot tanta è la professionalità.
A capo di una brigata composta di 120 persone (delle quali 80 cuochi e 40 aiutanti), chef Horlock ha 35 anni di esperienza alle spalle, la maggior parte dei quali passati nelle cucine di ristoranti stellati inglesi e francesi.
Dopo alcuni anni di insegnamento, l’incontro con il settore crocieristico, che ora è la sua vita e che le piace molto.
I ristoranti
Se l’idea di sfamare oltre 2000 persone spingerebbe chiunque ad anni di psicoterapia preventiva, chef Horlock e la sua brigata affrontano l’impresa quotidiana in modo irreprensibile.
Il numero di pasti serviti al giorno fa impressione: 15.000.
I ristoranti a bordo, caffè esclusi, sono 5.
Oltre alla sala principale (i pasti sono compresi nel prezzo della crociera), aperta sempre a colazione e cena, a pranzo solo durante la navigazione, e capace di ospitare dalle 515 persone (per il pranzo) alle 700 per la sera, ci sono altri quattro spazi (a pagamento), ognuno con un tema ben preciso e pensato per un pubblico diverso.
Dato che la cucina italiana esercita sempre un fascino notevole, al ponte 6 ecco Giovanni’s Table: atmosfera familiare e pensata per le famiglie, ha prezzi accessibili.
Il costo di un pasto medio si aggira attorno ai 25 dollari. Stesso ponte, un luogo per gli amanti della carne, la steakhouse Chops Grille: 30 dollari e carne alta svariati centimetri, all’uso americano.
Gli amanti della cucina giapponese non sono stati certo dimenticati: ponte 11, vista spettacolare, allestimento che richiama l’oriente con arredi minimal, legno e fiori.
Siamo all’Izumi: aperto solo durante la navigazione e a pranzo, ha prezzi più elevati. Sono previste anche sushi class per un numero ristretto di persone.
E se dopo un po’ di giorni la folla comincia a starvi stretta e l’idea di mangiare in una sala ristorante assieme a centinaia di persone vi fa sentire solo un cliente qualunque tra mille?
E se siete stufi di ricevere gomitate di fronte al buffet (sì, c’è anche lo spazio buffet, aperto tre volte al giorno più in orario del tè) da quell’anziana signora con i capelli azzurrini, in lotta con voi per una porzione di patate fritte?
Niente paura, si è pensato anche a questo. La soluzione si chiama Chef’s Table ed è una sala privata per una quindicina di persone, con la possibilità di scelta tra due o tre menu da cinque portate ciascuno, abbinate ai vini e la consulenza dello chef durante la cena.
E i vegetariani? I vegani? Gli intolleranti al glutine? Spazio anche a loro con menu ad hoc.
I menu
Se a questo punto state già aggiungendo fori alla vostra cintura, guardando con nostalgia alle bretelle del nonno tanto ridicolizzate, aspettate di dare un’occhiata al menu. Ai menu, perché sono circa un’ottantina.
Organizzati direttamente da Miami, sede centrale della compagnia, variano a seconda della zona in cui si effettua la crociera (siete nel Mediterraneo? Cucina mediterranea) e a seconda della nazionalità dei passeggeri, per un’offerta più mirata e strutturata possibile.
L’organizzazione è l’elemento chiave e il margine di errore deve essere ridotto al minimo. La capacità della brigata di gestire le emergenze è fondamentale: in mezzo al mare non ci si può approvvigionare e bisogna saper cucinare in tutte le condizioni meteo (chef Horlock mi strizza l’occhio e dice che bisogna stare attenti alle fritture in caso di mare mosso). Cosa si mangia?
Le cucine e il team
Dimenticate tutto quello che sapete sulla cucina di un ristorante normale.
Quello che colpisce qui sono dimensioni (di forni, miscelatori, impastatrici, friggitrici e pentole per zuppe) e quantità, sia di strumenti di lavoro (ho perso il conto di forni, abbattitori e frigoriferi), che di kg di ingredienti.
La zuppa che il cameriere vi servirà al tavolo è uscita da uno di questi pentoloni.
E l’assaggio di burro aromatizzato che vi viene proposto accanto al pane è miscelato qui.
L’executive chef ha accanto a sé un team di 5 collaboratori che assaggiano i menu serviti.
Se il vostro riferimento sono le visioni creative e i racconti pieni di fascino che escono dalle cucine stellate, sappiate che qui bisogna sfamare e rendere soddisfatte oltre 2000 persone, per cinque pasti al giorno.
Meglio abbandonare romanticismo e lirismo e andare sul pratico, insomma.
I menu variano a seconda del ristorante scelto.
In quello principale la carta propone, tra gli altri: torta salata con melanzane e carciofi accompagnata da salsa di peperoni rossi, mascarpone e rucola, caesar salad, lumache alla bourguignonne, pasta con frutti di mare, filetto di salmone con rafano, petto di pollo marinato e grigliato, bistecca di angus, torta di carote e crumble di mirtilli.
Da Giovanni’s eccovi taglierini con pomodorini, calamari, capesante e pesto; polpette alla romana e filetto di pollo ripieno di ricotta e funghi, mentre Izumi offre tempura di gamberi e verdure; fagioli di soia al vapore e involtini di gamberi.
Chi prepara i piatti a ciclo praticamente continuo è un esercito di cuochi e collaboratori di diversa nazionalità: la provenienza da India-Filippine-Caraibi-Nord Africa-Usa-Europa fotografa più o meno le stesse dinamiche dei ristoranti tradizionali. Con la differenza che, se qualcuno ha una giornata storta, da una nave in mezzo al mare non si può scendere.
L’ultima domanda che vorrei fare a Donna Horlock riguarda la contraddizione tra una disponibilità continua e gigantesca di cibo per i passeggeri e la presenza di fitness center e pista da jogging.
Cioè: si mangia e poi si espia o si suda per poter poi mangiare tantissimo? L’impressione che sia una questione alla Marzullo mi blocca all’istante. Saluto e ringrazio.
Signori, pronti a salpare.
[Crediti | Immagini: Caterina Vianello]