Dopo quante pastiere si muore? No ditelo, perché da quando ho reso noto al resto dei famigli che su di me la Colomba esercita il potere salivazionale di una pentola incrostata –ed era molte pasque fa– ne sforno in continuazione. Tipo: piatto ricco mi ci impicco. Unico aspetto positivo, siccome dopo, di mangiare pastiere neanche se ne parla, farle è dimagrante più della tisanoreica.
Punto primo: il grano [o del libro]
Se uno volesse fare le cose per bene dovrebbe procurarsi il grano, metterlo in ammollo per 3 giorni cambiando pure l’acqua, e spesso, per poi cuocerlo nel latte. Così dicono i campani. Ma l’entusiasmo è il prologo delle delusioni, e io già lavoro 85 ore a settimana. Sennò, potrei giurarlo, mi lanciavo nell’impresa. La mia sanità mentale ringrazia il provvidenziale barattolo di grano cotto comprato in drogheria.
Punto secondo: la ricotta [o dei foodblog]
Nella mia personale classifica “7 cibi per cui dareste un rene” la ricotta vola alta, pertanto me ne sono procurata tipo il doppio del necessario. Santa Teresa (De Masi), una che di certe cose ne capisce, consiglia di scolarla avvolta in una garza. Interessante l’aggiunta di 2 cucchiaini di rum all’impasto, con la pastiera che termina di asciugare in forno.
Punto quarto: la ricetta perfetta [in 4 tempi].
Per la pasta: 500 gr di farina debole, 200 di burro (ma sarebbe meglio lo strutto), 200 gr di zucchero, 2 uova, un pizzico di sale.
Per il ripieno: 600 di ricotta di pecora, un barattolo di grano per pastiera (lo so che non si dovrebbe), 200 ml di latte, 30 gr di di burro, 400 gr di zucchero, 6 uova, 1 cucchiaio di acqua di millefiori ( o di fiori d’arancio, se non ne trovate), scorza di limone grattugiata, 1 cucchiaio di rum, 100 gr di canditi di arancia e cedro.
Primo tempo. Preparo la pasta, lo faccio il giorno prima. Uso il robot da cucina per comodità, sabbiando farina e burro, quindi aggiungo zucchero e uova. Come ho fatto con la crostata. Sistemo il panetto dentro un cellophane e lo lascio in frigorifero fino al giorno dopo. Accanto accomodo la ricotta avvolta in una garza.
Secondo tempo. Apro il barattolo di grano, verso il contenuto in una pentola, aggiungo latte, zucchero, burro e una scorzetta di limone. Metto sul fuoco a sobbollire lentamente, il composto diventerà cremoso e morbido. Me lo dimentico fino a quando non è completamente freddo.
Terzo tempo. Recupero la ricotta dal frigo, la amalgamo con lo zucchero, aggiungo uno alla volta i rossi d’uovo, poi canditi, scorza di limone grattugiata, grano freddo, rum e (se volete) una spolverata di cannella. Infine, monto le chiare a neve e le unisco delicatamente all’impasto. Nel frattempo, ho prelevato la pasta dal frigo, acceso il forno e portato a 180°C. Stendo la frolla con uno spessore di 3 mm e la adagio nelle tortiere, controllando che il bordo sia sostenuto e non bucato. Verso l’impasto, decoro realizzando alcune strisce di pasta frolla che formano un reticolo a rombi lunghi e stretti.
Quarto tempo. Inforno le pastiere per almeno un’ora abbondante, lasciandole cuocere finché non risultino ben dorate. Quando sono pronte, spengo il forno, apro leggermente lo sportello e le lascio ad asciugare ancora una mezz’ora.
Non mangiatela subito, fate stabilizzare sapore e profumi, ne vale la pena. Tanto che, se vi cimentate con la pastiera per coronare il pranzo di Pasqua, fatelo prima possibile. Aprile dolce… dolce niente.