In genere il mondo di noi cuochi casalinghi, mamme, papà, figli, fidanzate e amanti (della tecnologia) si divide in due categorie senza sfumature: Sì al Bimby / Bimby manco morto (ci sarebbe anche la categoria Kenwood, ma ne parliamo un’altra volta).
Io sono stata confusa fin dall’inizio, da quando ancora pensavo che “bimbi” fosse il plurale del sostantivo maschile “bimbo”.
Riconosco che le impressioni di qualche amico e alcune cene preparate con la star dei robot da cucina mi hanno fatto perdere il senso dell’orientamento. Il problema è che nessuno riusciva a spiegarmi nel dettaglio come funzionava, né i principi basilari, perché appena se ne parla parte un’eccitazione collettiva e non si capisce più niente.
Ad ogni modo, per la serie se non vedo non credo, un giorno chiamo la Vorwerk e chiedo la dimostrazione della macchina infernale. Un po’ perché dopo molti tentativi avrei scoperto come accidenti si pronuncia il nome della rinomata azienda tedesca che costruisce il Bimby, un po’ perché volevo vedere il fantomatico aggeggio in azione.
Tempo un paio di giorni e chiama la signora Brunilde che con tono deciso mi ordina la lista della spesa. Faccio i compiti, pulisco a fondo la casa (hai visto mai che tira fuori pure il Folletto, mica mi faccio trovare con gli involti di acari, mia sorella ancora ha i traumi) faccio la spesa e con un circolino di invitati scettici, l’attendo.
Brunilde, vispa quarantenne del Centro-Sud, infermiera pentita riconvertita rappresentante, arriva, pure lei indecisa sulla pronuncia vorverk, fuoruech, vorverch che avvicenda con disinvoltura. Eccola all’opera: tira fuori “il mio amico Bimby”, i cataloghi, sbuccia una zucchina al secondo fissandomi negli occhi e parla del gruzzolo accantonato ogni mese sulla spesa.
La strategia della dimostratrice è chiara: risparmi tempo e fatica, ti fai la manicure e la tua coscia di pollo è già pronta, schiaffi dentro il necessario per la pizza (Brunilde usa in continuazione il verbo schiaffare) e lui impasta, ti depili e c’è lo smoothie già pronto che ti aspetta.
Io la guardo come si fa con l’animatore che ti importuna durante l’aperitivo nel villaggio turistico. Nascondo i calli da mattarello per non mostrare le mie debolezze e l’ascolto, facendo ogni tanto domande. Lei rapidissima mi fa vedere come si manteca il gelato, poi impasta il pane, trita ghiaccio, verdure e carne, mescola il risotto, cuoce a vapore, fa la polenta, la frittata, lo spumone e il brasato. Gira una rotella, 10 secondi velocità 4, 2 minuti velocità 1 e il pranzo è servito.
Io la guardo sfuggente, chiedo qua e là e giudico silenziosamente. Un crampo allo stomaco quando la vedo grattugiare il formaggio. Poi avvia la speciale modalità che, a intervalli regolari, riproduce i movimenti dell’impastare alternando il senso di rotazione. Deglutisco, ho bisogno d’aria. Dopo poco viene fuori la pizza.
Allora capisco che il mio senso della realtà è pari a zer0 perché io prima della pizza devo decidere il mix di farine, teglia sì o teglia no, quali pomodori, lievito naturale o di birra, e sulla giusta cottura studi approfonditi. Ma Brunilde è lesta come un furetto: in 90 minuti ha preparato il pranzo e calcolato quanto risparmiamo in un mese.
Ho solo il tempo di fare una rapida piroetta tra le scuse avanzabili per comprarlo lo stesso. Brunilde è venuta qui per strabiliarmi, però io che non voglio fare la pizza mentre lavo i capelli potrei usarlo per le salse, non so, la besciamella.
Ma ecco i sensi di colpa: più del mio stipendio mensile per la besciamella? L’evidenza vince. Brunilde, non siamo fatte l’una per l’altra. Di tempo ne ho poco, ma risparmiarlo non è l’unica cosa che voglio. Voglio fare il sugo la domenica mattina e farlo cuocere 4 ore, io stendo la pasta a mano e come massimo obiettivo, ho quello di ereditare la spianatoia di mia nonna, che più impasti ha visto meglio è.
Brunilde, tu sei brava, non te la prendere. Vogliamo parlare del Folletto? Voi di che partito siete? Vi mando Brunilde?