Il cibo è il nuovo rock? La risposta pensavo fosse no, perché la tesi oltre che bella da star male, è come immaginate, inimmaginabile. Ma poi, nel cercare non ricordo neanche cosa, io e le mie corna abbiamo trovato il bandolo, e anche il blog che aderisce perfettamente al concetto: Food is the new rock! Ora che ci sono dentro fino al collo passo all’enunciazione della teoria, fate attenzione per favor, perché seguendo il bandolo (cioè l’articolo del Guardian) la dettaglierò per punti.
PUNTO PRIMO: I CONCERTI. Esistono analogie tra i consumatori di musica e il movimento dei gastrofanatici, avete presente i concerti? La parola d’ordine è documetare. Possiamo dire che il pubblico dei concerti passa metà del tempo a scattar foto col telefonino sopra la testa. Ti accorgi delle hit non perché sono le canzoni più ballate ma le più fotografate. Bene, per i gastrofanatici succede lo stesso al ristorante. In pratica, scattiamo e carichiamo le immagini su Facebook prima ancora addentare la preda.
A proposito di concerti, tempo fa mi chiedevo perché quando siamo troppo vecchi per il rock diventiamo gastrofanatici. Ovviamente la risposta è che mogli, amanti, bambini, babysitter, le cosiddette circostanze della vita, e quella botta di sonno che ti prende a tradimento davanti alla Tv complicano la partecipazione attiva alla scena musicale. E così, lentamente, da quel tipo di passione si passa all’amore per stegamate e cose buone da mangiare.
PUNTO SECONDO: LE ANALOGIE TRA GASTROFANATISMO E MUSICA INDIE. La scena della musica indipendente e il movimento dei gastrofanatici esprimono valori simili. I fan del rock mostrano un gusto naturale per le piccole etichette e un sincero fastidio per le major; la semplicità è un valore indie, anche la purezza. Sono detestabili le cose finte e fabbricate a tavolino, prevale il desiderio di autenticità, c’è nostalgia per il passato (vedi il vinile o le cassette musicali), e attenzione al linguaggio un po’ elitario della critica d’arte.
Tutti gusti condivisi dai nuovi adepti al gastrofanatismo, fateci caso. Vogliamo sapere per filo e per segno come sono fatte le cose che mangiamo, da dove arrivano, quanto hanno viaggiato, non siamo cazzoni cui si possono rifilare delle balle, capiamo quando una cosa è autentica, e in genere, più artigianale è meglio è. Pensateci, la smodata attenzione per la focaccia del panificio Oneto di Genova, anzi, per “i buchini sulla superficie né troppo unti né troppo salati“, è paragonabile all’interesse per chi fa musica, per come la fa, per come ci viene recapitata.
PUNTO TERZO: LE ETICHETTE. Basta dare un’occhiata alle etichette dei produttori artigianali per trovare gli stessi valori che piacciono ai fan della musica rock indipendente. “Quantità limitata, “Km zero”, “Metodi tradizionali, “Purezza”, “Ingredienti di una volta”, e più di tutto “Biologico”, vale a dire non contaminato da additivi. E’ inconfutabile che gli artigiani del cibo producano beni difficili da reperire. Perché sono sì imprenditori ma meglio se piccoli e locali, e chi vuole meritarsi la medaglia produca seguendo metodi replicabili a casa, volendo (pensate alla birra artigianale). Schifabili a piacere gli intrugli sintetici e misteriosi delle aziende internazionali, peggio se multinazionali, e i gastrofanatici si proccupano se i produttori sono sfruttati, ricordate le interminabili discussioni sui prezzi d’acquisto di Eataly, la catena di mercati per gourmet? Serpeggia tra i foodie (acc, mi è scappato) la voglia del metodo tradizionale ripristinato alla luce della modernità, le sostanze chimiche sono chiaramente bannate, così si spiega anche l’avversione di molti per la cucina molecolare. Certo, è creativa e unica, ma troppo contaminata dalla scienza e dal futuro.
PUNTO QUARTO: AUTENTICITA’. Oggi i gastrofanatici cercano l’autenticità. Non conta quanto una cucina è costosa, ma quanto è autentica. Le specialità esotiche sono un filone interessante, ma proprio mentre invadono le nostre città, il gastrofanatico veramente avanti insegue cibi locali sconosciuti, e più sono conformi alle origini più acquistano valore, più sono stremantemente rari, più sono pregiati. Non accontentarsi di un tè cinese qualsivoglia ma cercare il raro e pregiatissimo Do Hong Pao, non è come sbattersi per l’edizione limitata di un album in vinile giallo?
PUNTO QUINTO: L’EFFETTO CONOSCENZA. Eppoi c’è l’effetto conoscenza. Come sa bene chi segue Dissapore, noi gastrofanatici non siamo semplici fan, ma usando il linguaggio dei critici lasciamo intendere di possedere l’acume necessario per proclamare una certa cucina, per esempio quella di Massimo Bottura, come la migliore in assoluto. Discutiamo vigorosamente i meriti di ogni nuova apertura, e se un locale diventa famoso, subito qualcuno si alza per sopraccigliare che tanto… non è più quello di prima.
I valori dei gastrofanatici sono vicini alla filosofia della musica rock, meglio ancora se indie, è solo l’argomento a essere differente. Invece di discutere i meriti , non so, dei Muse, si polemizza sul migliore ristorante veneziano o si puntualizzano le fasi della pasta madre. E comunque, se il cibo è il nuovo (indie) rock in quale band suonerebbe Massimo Bottura? E Ferran Adrià? E gli altri chef? E Gabriele Bonci? (I Metallica?)
[Crediti | Link: Guardian, Food is the new rock, Dissapore. Immagini: Food is the new rock, Rolling Stone]