Tutt’ora faccio fatica a capire quelle regole esoteriche dello sport: tipo che in caso di parità i gol in trasferta valgono doppio. Cos’è, che i calciatori poverini nella loro dura e defatigante vita trovano scomodi gli spogliatoi degli stadi avversi, e non potendo arrivare in Porsche direttamente dentro la doccia di sciampagna si deprimono e rendono meno? Dice, il pubblico è il dodicesimo uomo: perchè intona i cori con gli sfottò (il solo diteggiare questa parola mi ha provocato uno shock anafilattico) e il ragazzo, in fondo un animo sensibile, si chiude in un polemico mutismo e non rende? Vero, sarà ormai indifferente a quei due trecentomila euri l’ora malcontati, che deve pur sopravvivere in questo mondo crudele.
Allora mi interrogo su questo fenomeno del cuoco transumante, che prende armi e bagagli e si trasferisce altrove: per quella serata dove sarà la star, e i riflettori saranno solo per lui, e le folle osannanti gli tributeranno hallelujah e stazioni ovattanti (Standing Ovation) chiederannoautografi e scuciranno plichi di fogli da cento, con sorrisi che sembrano la mia libreria di fumetti e occhi lucidi di commozione.
La moderna tennologia consente di avere a disposizione attrezzature di prim’ordine dappertutto: sono finiti i tempi del convoglio di “Trasporti Eccezionali” per trasportare le grosse Berkel rosse da un capo all’altro del mondo. Le aspettative sono altissime, e spesso le serate in trasferta dei cuochi segnano il tutto esaurito. Pur chiudendo un qualche occhio: menù fisso, prezzo “abbastanza” conveniente, abbinamenti con vini di vascello.
Ho conosciuto appassionati gurmè che programmano la loro settimana sulla base di questi eventi: si conoscono tra di loro, quando si vedono si salutano e si dicono Ma ciào, attaccano con uno scandaglio millimetrico delle loro esperienze in merito, misurandosi con il doppio decimetro.
E in tavola? I cuochi viaggiatori sono bravi, sono esperti, hanno una boy-band alle spalle in grado di sostenere le più torride tempeste: eppure cucinare in una cucina che non è la tua per ingombri, attrezzi, spazi, non è la stessa cosa. Sarà perchè in quei tre minuti in cui devono uscire i piatti l’orgasmo è alle stelle, paralizza i muscoli e le idee, e gli automatismi sono àncore di salvezza su cui contare alla bisogna.
Ti capiterà allora una serata-Scabin, con il giocoliere di Rivoli in gran spolvero ma in qualche momento costretto in prospettive un po’ anguste, o la bella parabola di Mimmo Alba che del nomadismo gastronomico fa una ragione di vita, a portare – letteralmente – i suoi profumi di Sicilia in terra piemontese.
Altrimenti puoi salire anche tu sulla tua vetturetta, pedalarti tutti chilometri che vuoi e sederti a casa del cuoco: e vederti magari qualche pezzetto d’Italia, che male non fa. Certo, non sentirai dire Ma ciào, ma è prezzo ben pagato.